I sistemi per impermeabilizzare i terrazzi posti su vani abitati o tetti terrazzati, prevedono l’uso di speciali membrane bituminose o sintetiche: quali sono le differenze? Quando usare l’una e l’altra?
I sistemi per impermeabilizzare i terrazzi posti su vani abitati o tetti terrazzati, prevedono l’uso di speciali membrane che possono essere bituminose o sintetiche.
Quali sono le differenze tra i due manti protettivi? Quando usare l’uno e l’altro? Come valutare lo stato di conservazione e che tipo di manutenzione richiedono?
L’intervista a Massimiliano Lorenzetti, Vicepresidente di Assimp, l’Associazione che rappresenta le Imprese di Impermeabilizzazione Italiane.
Vicepresidente Lorenzetti, quali sono i diversi tipi di sistemi impermeabili che possono essere utilizzati per impermeabilizzare un terrazzo su vano abitato?
«In questo caso il sistema non prevede un’impermeabilizzazione fine a se stessa, ma coinvolge anche la barriera a vapore e la coibentazione termoigrometrica che insiste nella stratigrafia posta al di sopra dell’ambiente abitato. Pertanto non si parla di impermeabilizzazione ma di un sistema vero e proprio. Sopra un locale abitato tutti gli strati devono essere interconnessi, studiati e calcolati e pertanto affidarsi a qualche prodotto da rivendita o garantito solo dalla scheda tecnica del produttore, potrebbe creare problemi. Dal gennaio 2019, la Norma UNI 8178, parte 2, definisce esattamente questo tipo di attività e interviene nell’ambito dei terrazzi collocati su locali abitati. La norma in questione riporta tutti gli schemi stratigrafici di sezione in modo preciso e dettagliato, per cui basta seguire pedissequamente ciò che viene riportato. Nel dettaglio, il sistema di impermeabilizzazione si avvale di membrane prefabbricate e costruite in stabilimento. Le membrane possono essere sia di materiale bituminoso sia sintetico, ma devono sempre essere realizzate attraverso un processo industriale verificato e controllato. Sicuramente non si tratta di prodotti creati in opera miscelando o spruzzando diversi componenti. In più occorre tener conto delle temperature, dei luoghi di posa, dell’umidità relativa, del supporto e anche il tipo di finitura».
Terrazzo con pavimento galleggiante
Che differenze ci sono tra i manti bituminosi e quelli sintetici?
«Le membrane bituminose sono rotoli genericamente dimensionati in dieci metri di lunghezza e un metro di larghezza, con uno spessore di quattro millimetri e un peso prossimo ai 40 Kg a rotolo, e sono sempre provvisti di un’armatura al loro interno. Gli spessori possono essere anche diversi e possono variare anche in termini di flessibilità e nel grado di finitura. Se il sistema serve a impermeabilizzare un tetto «caldo», quindi deve essere posto su un locale abitato, solitamente si ricorre a una membrana bituminosa di quattro millimetri di spessore, una flessibilità a freddo almeno da -15 gradi e un peso di 40 Kg, solitamente in doppio strato con le tecniche di posa “a caldo”. Altra caratteristica di questo sistema è che viene applicato usando la fiamma generata dalla bombola a gas propano e in completa aderenza al supporto, che sia un pannello o un solaio».
La membrana sintetica invece, quali caratteristiche presenta?
«La membrana sintetica è un rotolo più grande, con una larghezza di due metri e una lunghezza minima di 15 e arriva a coprire una superficie di circa 30-40 mq. Il peso varia dai 60 a 75 Kg e lo spessore, in confronto alle membrane bituminose, è più ridotto, mediamente 1,8 millimetri. Per quanto riguarda la posa, se per il manto bituminoso è quasi sempre eseguita in totale aderenza, con quello sintetico è molto spesso in completa indipendenza. Si tratta di un telo collocato sopra la superficie e ancorato al supporto tramite un fissaggio meccanico e uno perimetrale. Per intenderci, è come se si stendesse un grande lenzuolo appoggiato su una struttura la cui tenuta è data dalla saldatura di un telo all’altro e non al supporto».
È possibile fare un elenco dei vantaggi e degli svantaggi delle due soluzioni?
«L’utilizzo della membrana bituminosa ormai non ha più segreti: si adatta a qualunque geometria, è utilizzabile da personale specializzato ed è un prodotto di facile reperibilità, e con una gamma di accessori e gadget per ogni evenienza o dettagli o da curare. Il sistema sintetico, è più suscettibile alle variazioni connesse anche al clima dell’ambiente in cui sarà usato, anche per la gestione ottimale della saldatura. Il sistema bituminoso, come già detto, ha inoltre una gamma di accessori che permette di risolvere qualunque tipo di dettaglio: dal giunto al bocchettone, fino al rilevato, per cui è tutto molto più semplice. Inoltre è molto più facile ripararlo o modificarlo a distanza di tempo in caso di trasformazioni interne all’edificio, a esempio un negozio che cambia la posizione dei lucernari, degli sfiati, dei bagni oppure in un’abitazione in cui si modifica l’impiantistica. Con il sintetico tutto questo è molto più difficile, tant’è che su dieci imprese di impermeabilizzazione, tutte installano sistemi bituminosi, ma solo una piccola minoranza, tre o quattro, realizzano anche il sistema sintetico. Impermeabilizzare con quest’ultimo sistema richiede un grado di specializzazione e un tipo di attrezzatura diversa, per non parlare della preparazione tecnica che, come richiesto dalla norma UNI 11183, deve essere altamente specializzata».
Quindi impermeabilizzare con il sistema sintetico quando si rivela vantaggioso?
«Soprattutto quando si hanno superfici molto importanti, tipicamente è la classica copertura delle grandi logistiche, dei fabbricati particolarmente estesi, e difficilmente si utilizza un sistema sintetico in pezzature inferiori ai 200/300 mq. Tutto ciò è anche dovuto a un motivo prettamente economico, perché la cura dei dettagli con il sistema sintetico, in una copertura inferiore ai 300 metri, comporta una spesa economica che può essere paritetica al valore di tutta l’impermeabilizzazione. Questo è dovuto al fatto che bisogna investire molto tempo in manualità e in dettagli particolarmente onerosi per ottenere i risultati che con il bituminoso è molto più semplice raggiungere. In sintesi, con il sistema sintetico, è impossibile improvvisarsi impermeabilizzatore, perché non tutti i materiali sintetici sono compatibili tra loro ed è necessaria un tipo di attrezzatura dedicata, particolare e più onerosa».
Quali sono le garanzie previste per i questi sistemi?
«Le garanzie sono ambivalenti. Ricordo che l’articolo 1668-9 del Codice Civile impone alla categoria una garanzia decennale sul materiale posato in opera e questo vale per tutti e due i sistemi di impermeabilizzazione. Aggiungo che in entrambi i casi, le garanzie possono tranquillamente arrivare al massimo ottenibile sul mercato: con alcuni sistemi bituminosi, che prevedono pose particolari, fino a 15 o 20 anni e lo stesso vale per alcuni sistemi sintetici».
Prendiamo il caso di un terrazzo a servizio di un'abitazione e quindi utilizzato nella bella stagione, esistono indicazioni circa la scelta di una tipologia di finitura a pavimento rispetto a un'altra a seconda del tipo di impermeabilizzazione adottato?
«Più che dalla tipologia di impermeabilizzazione dipende dal tipo di uso che si fa del terrazzo. Ci sono casi in cui questi spazi vengono usati saltuariamente durante il tempo libero e altre situazioni in cui si sono vissuti in modo intensivo, con diversi elementi di arredo, quindi verde pensile, barbecue, vasche idromassaggio, fiorire, sedute e tavoli per accogliere più di venti persone. La scelta del tipo di pavimentazione dipende dal tipo di utilizzo che si fa del terrazzo. Detto questo, un sistema composto dall’elemento impermabilizzante, dagli strati di separazione e scorrimento, dal massetto cementizio e una pavimentazione incollata di qualunque natura, sicuramente è il migliore e allunga la durabilità della membrana, perché la protegge e ne consente il corretto funzionamento».
Nel caso in cui il pavimento del terrazzo sia in legno o in teck?
«In questo caso si ha molto meno peso considerata la leggerezza dell’elemento ligneo e la membrana è meno stressata dal punto di vista dei carichi, però lo è di più per quanto riguarda le sollecitazioni termiche. Una struttura di questo tipo è perennemente riscaldata o raffrescata nella parte inferiore a seconda della stagione, mentre la parte superiore è esposta alle variazioni climatiche: la neve o la pioggia del periodo invernale oppure il sole di mezzogiorno in piena estate che permeando tra le fughe del pavimento la sottopone a uno stress non indifferente. Infatti da una parte assorbe il calore estivo e dall’altra invece riceve il fresco degli ambienti climatizzati. In più vorrei ricordare che la normativa prevede che in un terrazzo con pavimento galleggiante, quindi con la possibilità che si depositi più facilmente sedime, sporco o vegetazione, la membrana deve avere anche caratteristiche anti radice. Con il sistema sintetico questo non accade perché è di default anti radice, mentre invece quello bituminoso necessita di appositi additivi insiti nella mescola. Nel caso invece la pavimentazione sia flottante, quindi posta su supporti distanziali o galleggianti, è necessario che la membrana abbia una resistenza all’aggressione di radici perché queste potrebbero attecchire tra una piastrella e l’altra».
Di quali aspetti deve tenere conto la scelta del materiale?
«Nel caso dei pavimenti incollati va bene qualunque tipo di materiale, dalle pietre naturali, ai marmi o graniti, fino ad arrivare ai grès porcellanati o altri tipi di piastrelle a base ceramica. Se invece si opta per il legno, bisogna realizzare strutture flottanti, che poggiano su piedini, traversi o longheroni che mantengono distanziato il sistema impermeabile dalla struttura lignea che ha bisogno di contrarsi con il caldo e il freddo. Oggi questo sistema si può fare anche con il grès porcellanato, applicando lastre le cui dimensioni variano da 30x30 fino a 120x120 e sono sostenute da piedini registrabili. Per cui al di sotto si ha l’impermeabilizzazione e sopra vi sono i supporti che mantengono il pavimento sollevato».
C’è una corretta posa anche per i piedini?
«Il tipo di lastrone definisce la quantità di piedini. Mentre in un pavimento 40x40 ne vanno circa cinque, nelle pavimentazioni 50x50 ne occorrono 6,25. È lo stesso produttore del piedino che fornisce le prescrizioni utili all’installatore, indicando quanti ne servono e a che distanza vanno posizionati per ogni metro quadro. Noi dobbiamo intervenire con il sistema di protezione e scorrimento che va previsto sopra la membrana e deve tenere separati i piedini dall’impermeabilizzazione. In questo caso sono ottimi i materassini fatti con i pneumatici fuori uso che sono indeformabili ai carichi, resistenti a urti e abrasioni e sono inattaccabili dalla muffa e dall’umidità, ma idealmente devono avere uno spessore non inferiore ai tre millimetri».
In merito alla pavimentazione, essendo comunque uno strato di “protezione” al sistema stesso, quali sono gli accorgimenti tecnici da tenere in considerazione?
«La gestione delle fughe viene affidata al pavimentatore che provvede a fare la stuccatura con malta cementizia o resina epossidica. Ma vi sono anche le protezioni per la membrana sia rispetto al massetto cementizio sul quale incollare le piastrelle sia rispetto ai piedini che sostengono la pavimentazione galleggiante. Pertanto, con una pavimentazione incollata, sono sufficienti due strati di separazione. In questo caso va bene anche il classico telo di polietilene o nylon che deve però essere micro o macro forato, così da consentire il dilavamento e lo scambio dell’essenza bituminosa rispetto al massetto cementizio. Poi è assolutamente necessario posare una fascia reticolare sul bordo del terrazzo in modo che quando il massetto viene gettato sopra l’impermeabilizzazione sia protetto nella parte inferiore dal telo, ma abbia la fascia reticolare perimetrale che sostanzialmente funge da cuscino per quando il massetto tenderà a contrarsi o ridursi per effetto della sua maturazione o delle condizioni atmosferiche esterne. Per i sistemi flottanti invece, basta che ci sia una protezione meccanica a due o tre millimetri di spessore, dove i piedini vengono poggiati sullo strato di separazione e la loro regolazione micrometrica permette di disporli come si preferisce. Il loro numero può variare, anche perché su terrazze di questo tipo non è raro vedere il perimetro segnato da piante e fioriere cariche di terreno. In quel caso vi è la prescrizione da parte del produttore del pavimento di implementare il numero dei piedini per ripartire al meglio i carichi che vanno a scaricarsi sulla membrana».
Per quanto riguarda i controlli e l’eventuale manutenzione, quali sono i campanelli dall’allarme a cui bisogna prestare attenzione?
«Quando cominciano a comparire efflorescenze di colore scuro o saline o muschi anche dopo diversi giorni che non piove, significa che il terrazzo è stato realizzato con un sistema non validato, e che ha smaltito l’acqua meteorica per opera della parte pavimentata ma non per opera di quella bituminosa».
«Quando piove, l’acqua defluisce attraverso gli scarichi del terrazzo, ma quella che si vede sul pavimento, è forse il 90 per cento di quella caduta: il rimanente dieci per cento permea al di sotto della parte pavimentata attraverso le fughe o i perimetri ed è in questo momento che interviene il sistema impermeabile come valvola di sicurezza evitando che l’acqua meteorica non vada a infiltrarsi nell’appartamento sottostante. L’acqua però, una volta captata, non può rimanere latente tra il pavimento e l’impermeabilizzazione, pertanto ci vuole un sistema di scarico dedicato che ne consenta lo smaltimento».
Che tipo di controlli bisogna fare sul pavimento dei terrazzi?
«In un terrazzo pavimentato a malta cementizia con pietra o ceramica, il controllo è limitato alle siliconature del battiscopa se sono a vista e alla pulizia periodica, tre o quattro volte l’anno, della griglia del sistema di scarico. Se invece si tratta di pavimenti galleggianti, in funzione dell’ampiezza della fuga, la pulizia può essere fatta con un aspiratutto per eliminare i piccoli sedimenti ed evitare così che si formi la fanghiglia che sul lungo periodo potrebbe ostruire la sezione di scarico. Questo porterebbe alla formazione di dighe o ostruzioni al lento dilavamento, e l’acqua stagnante diventerebbe l’habitat ideale per la proliferazione di insetti, sopratutto le zanzare».
Ogni quanto occorre pianificare i controlli per la manutenzione?
«Dipende dall’ampiezza del terrazzo e all’uso che se ne fa. In un terrazzo abitato di taglio medio, circa 30/35 mq, i controlli si possono fare ogni cambio di stagione, se invece supera i 100/150 mq ed è attrezzato o arredato, i controlli vanno ripetuti ogni due o tre mesi. Essendo superfici molto ampie, di solito hanno pochi scarichi e il lento dilavare dell’acqua porta la sporcizia a intasare molto velocemente le calate di scarico. Le verifiche vanno fatte anche sulle lattonerie, copertine, collegamenti delle soglie ed eventuali camini e sfiati. Tutto ciò che si pone al di sopra della pavimentazione, soprattutto del tipo galleggiante, va ad interferire con il sistema impermeabile, per questo occorre sempre un reale studio in fase di fattibilità ma anche di manutenzione postuma».
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