«Signor Maresca, prima di ogni altra cosa volevo esprimerle tutta la mia solidarietà». Maresca non riesce a trattenere le lacrime. «Grazie». «Le sono vicino come uomo dello Stato ma anche come padre e come marito». «Grazie, veramente. Lo apprezzo». «Sono qui per aiutarla. La prego di non vedere in me solo il pubblico ufficiale, ma anche un amico». Il maresciallo siede di fronte a quell’uomo devastato dal dolore. «Mi hanno riferito che oltre a sporgere denuncia contro i malfattori, lei avrebbe intenzione di denunciare anche il professor Orsini, mi spiega la ragione?». «Maresca contrae il volto in una smorfia di rabbia. «Pecché è tutta colpa sua dottó! Tutta colpa sua!». Batte il pugno sul tavolo. «Mi faccia capire». Maresca prova a calmarsi. «Ve lo spiego dottó, ve lo spiego». Si asciuga il volto dalle lacrime, respira profondamente.«Quando quell’orda di barbari ci è entrata in casa ho capito subito che le cose si sarebbero messe male. Pure mio figlio...».
L’uomo ha un mancamento. «Si faccia coraggio» . «Pure mio figlio, dicevo, sentendo dei rumori giù in cucina si è precipitato in camera mia e di sua madre. Papà, ci stanno i ladri in casa! La pistola, prendi la pistola! Io infatti, per il lavoro che faccio, detengo regolarmente un arma per la difesa personale. In quel momento però, mannaggia a me!».
L’uomo colpisce di nuovo il tavolo con tutta la rabbia che ha in corpo. «In quel momento ho pensato alle parole del professor Orsini che da poco avevo ascoltato in uno dei suoi interventi televisivi. Tiene ragione il professore, mi sono detto. In questo momento devo agire secondo criterio, non di pancia. Noi in casa siamo in tre e abbiamo una sola pistola, loro saranno sicuramente di più e meglio armati. Ogni tentativo di respingere quest’aggressione è destinato a peggiorare la situazione. Meglio aprire con questi delinquenti una trattativa e concedere loro quello che vogliono. È frustrante certo, si tratta però di un compromesso che salverà la vita mia e della mia famiglia. È stato così che con le migliori intenzioni ho aperto la porta e ho urlato a quei balordi che non era nostra intenzione difenderci, che potevano prendere quello che volevano e poi sparire. Nessuno si sarebbe fatto male in questo modo. Dopo qualche istante di silenzio uno di quei maledetti ha urlato dal basso che gli stavano bene quelle condizioni. Ci ha chiesto di scendere giù con le mani alzate e di consegnarci. Ci ha anche assicurato che sarebbe stata questione di minuti, una rapina lampo, se veramente avessimo collaborato. Bravo, bravo Orsini, mi sono detto. Visto che tiene ragione? Tutti gli danno addosso a quel povero disgraziato, ma la verità è che è l’unico a dire cose sensate. E così siamo scesi giù con le mani bene in vista. I ladri ci hanno fatto mettere in ginocchio in salone. Ho dato loro la combinazione della cassaforte e l’hanno svuotata di denaro e preziosi. Riempite le tasche però, vedevo che questi non se ne andavano. Mo vi leghiamo le mani, ci hanno detto. E per quale ragione, ho protestato. Vi abbiamo dato quello che cercavate, adesso potete andarvene e lasciarci in pace. No, ma noi questo vogliamo fare, mi ha risposto uno di loro. Però non possiamo sapere se usciti in giardino voi non ci sparate addosso con qualche arma nascosta o se invece non chiamate la polizia. È questione di sicurezza, non di sfiducia, intendiamoci. È stato così che io, mia moglie e mio figlio, ci siamo fatti legare e imbavagliare. Quelli però ancora non se ne andavano, anzi hanno cominciato a sghignazzare tra loro divertiti dal fatto che stessimo perfino collaborando. Poi è cominciata la tragedia».
Maresca si ferma di nuovo. Si copre il volto con le mani. «A me e mio figlio ci hanno trascinati nello sgabuzzino … da lì dentro potevamo sentire le urla di mia moglie. Erano in cinque… si è difesa finché ha potuto. Quelle bestie l’hanno violentata e massacrata di botte fino ad ucciderla. Mio figlio, non so come, è riuscito a liberarsi le mani. Nello sgabuzzino ha trovato un suo vecchio telefonino ancora funzionante. Papà, io chiamo aiuto! Qualcuno deve venirci in soccorso. Chiamo la polizia! L’ho fermato… avete capito marescia’… l’ho fermato! Gli ho spiegato che, come diceva Orsini, chiedere aiuto avrebbe solo aggravato ulteriormente le cose. Ma hanno ucciso a mamma! Mi ha urlato. Lo so, lo so, gli ho risposto. Non voglio che uccidano pure a te. In quel momento si è spalancata la porta dello sgabuzzino. Uno dei cinque ha afferrato mio figlio per i capelli e lo ha trascinato fuori, poi è stato il mio turno. Che volevi fare? Continuava a domandargli quello che doveva essere il capo della banda. Ti abbiamo sentito. Volevi chiedere aiuto? Sotto i miei occhi lo hanno preso a calci e pugni. Lo hanno colpito alla testa. Gliel’hanno fracassata con un posacenere di marmo che stava sul tavolo».
Di nuovo Maresca ha bisogno di fermarsi prima di riprendere. «Poi hanno cominciato a massacrare me. Se ne sono andati solo perché mi hanno creduto morto. Ecco perché voglio denunciare quel grande genio! Credetemi marescia’, io sono un uomo di pace. Nella mia vita non ho mai fatto male a una mosca e rifiuto ogni forma di violenza. Di fronte ad una aggressione così bestiale però, come si fa a non difendersi? È un dovere soprattutto nei confronti della propria famiglia. Se avessi sparato ad uno di quegli infami forse oggi starei male, starei piangendo di fronte a Dio, però mia moglie e mio figlio probabilmente sarebbero ancora vivi».
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