La Palermo degli Orleans e la più bella teoria mai concepita dalla Fisica su un “universo elegante” - Tiscali Notizie

2022-10-17 07:00:21 By : Ms. Jane Liu

Albert Einstein (credit GettyImages); sotto il titolo, Antoine Victor Edmond Madeleine Joinville, Veduta di Palazzo d’Orléans a Palermo, 1832, (credit Galleria d’Arte Paolo Antonacci, Roma)

La capitale del Regno di Sicilia gli piaceva. A prescindere. Erano dunque lodati i master e le conferenze che ce lo avevano nel tempo portato. Quel convento dalle volte rese smisurate dall’asciuttezza dello stile, che nel Settecento ospitava, insieme alle madri povere, meschine di ogni genere. Profondi gli echi della voce di chi parlava. O la grande aula al pian terreno di Palazzo dei Normanni, nel roseo del marmo di Verona che lo decora — scalinate, archi — fin da quando era stato costruito dieci secoli prima. Quella chicca della Martorana — dietro il “Palazzo delle Aquile”, municipio di Palermo — risplendente nelle sue volte di aurei mosaici bizantini, proprio dirimpetto a San Cataldo, inno monumentale, pur nelle ridotte dimensioni, allo stile arabo-normanno

Il racconto di HERR K

PALERMO TI ACCOGLIE con un caldo sole ottobrino, tra i fastosi palazzi fatiscenti che baroni e principi eressero nel Settecento, quando era la capitale del regno di Sicilia, quasi in superba competizione con la corte degli Orleans. Alle spalle i giardini rigogliosi e ben curati e il liberty leggero di via della Libertà, si risale, dopo via Maqueda — il “que” orgogliosamente pronunciato da ogni palermitano per bene al posto dello spagnolo “che” —, per il Cassero, al secolo corso Vittorio Emanuele. 

E dopo la Cattedrale, perfetta nella sua incompletezza, si costeggia la rigorosa sontuosità di Palazzo dei Normanni. Poco prima, dirimpetto alla Cattedrale, si può accedere a viuzze di risulta verso Ballarò, in mezzo a palazzi diroccati dai bombardamenti della Seconda guerra mondiale, una Beirut dove però non crepitano le armi dei credi contrapposti. Là dei banchi di frutta, all’angolo opposto quelli carichi di pesce e frutti di mare con l’odore di iodio che ti entra nelle narici. Più avanti un raggruppamento di opachi adolescenti rende disagevole il passaggio di un’auto, ma non si spostano perché sono in attesa delle dosi da smistare davanti alle scuole. In una stradina, deserta, una giovane stupenda incede, alta, nella sua bellezza. Meglio non fare commenti di approvazione, ché il deserto diverrebbe subito minacciosamente popolato.  

lodati i master e le conferenze che ce lo avevano nel tempo portato. Quel convento dalle volte rese smisurate dall’asciuttezza dello stile, che nel Settecento ospitava, insieme alle madri povere, meschine di ogni genere. Profondi gli echi della voce di chi parlava. O la grande aula al pian terreno di Palazzo dei Normanni, nel roseo del marmo di Verona che lo decora — scalinate, archi — fin da quando era stato costruito dieci secoli prima. Quella chicca della Martorana — dietro il “Palazzo delle Aquile”, municipio di Palermo — risplendente nelle sue volte di aurei mosaici bizantini, proprio dirimpetto a San Cataldo, inno monumentale, pur nelle ridotte dimensioni, allo stile arabo-normanno. O quelle preziose villette nobiliari nella piana di Palermo, vestite di un rococò leggero anche nei mobili.

L’aula dove avrebbe dovuto spezzare il pane della scienza in partibus infidelium era uno scatolone finestrato, architettura tipica degli anni ’60 della sede più recente dell’Università. Gli “infedeli” erano gli studenti di Sociologia dell’Ambiente, ai quali avrebbe dovuto fornire lumi sulle moderne concezioni dello spazio-tempo, cioè sulla rivoluzione introdotta da Einstein con la Relatività Ristretta (RR, 1905) e, definitivamente, con la Relatività Generale (RG, 1916). 

Ora, la Relatività Ristretta era quasi un gioco da ragazzi: righelli che si accorciano e tempi che si dilatano quando si passa da un sistema di riferimento all’altro, in moto rispetto al precedente. Si sa — sempre meglio ribadirlo — che le leggi della Fisica, gli esperimenti di laboratorio e l’evoluzione temporale dei fenomeni hanno pieno senso scientifico solo se riferiti a una terna di assi cartesiani presa come sistema di riferimento, paradigmaticamente i tre spigoli determinati dall’incrociarsi delle pareti di un laboratorio. E la “magia” del paradosso dei gemelli — quello che partito con velocissima astronave ritrova più vecchio quello rimasto sulla terra — dipende, come l’accorciarsi non solo di un righello ma del muso di un treno, da due fatti: muoversi con velocità confrontabile con quella della luce; rinunciare a pensare che ci sia un tempo universale che batte uguale ovunque e accettare che ogni sistema di riferimento ha un suo orologio. 

Su questo secondo punto valeva, ad oliare la comprensione, un po’ di chiacchiera: quel tempo “assoluto”, ancor di più, poi, lo spazio “assoluto” — avulsi, con terminologia calcistica, da ogni sistema di riferimento — erano il residuo metafisico della onnipresenza di Dio, persistente nella scienza moderna al suo seicentesco nascere. Riguardo al muoversi con la velocità della luce, il fatto che anche le più alte velocità realizzate, come quelle delle navette spaziali o dei satelliti in orbita attorno alla terra, fossero centomila volte inferiori a quella della luce faceva tirare un sospiro di sollievo. Tutta roba che non attiene alla nostra percezione sensoriale; è già difficile misurarne gli effetti con strumenti particolarmente sensibili! E quei mesoni μ, particelle della radiazione cosmica soggette a rapido decadimento, che ce la fanno invece a piovere sulla terra prima di disintegrarsi perché la loro velocità li fa invecchiare più lentamente? Beh, francamente, chi se ne fotte. Restiamo tranquillamente nell’universo “piatto” della Fisica galileiana. 

Più conturbante quell’altra rivoluzione, più profonda, la Relatività Generale (RG). Raccontava agli “infedeli” che un gran subbuglio sembrava esser stato scatenato nella comunità scientifica dell’epoca dall’abbandono della visione tolemaica della terra come centro dell’universo. Inevitabile conseguenza, almeno per gli addetti ai lavori, del De revolutionibus orbium celestium (1543) di Copernico. Anche se quel furbacchione di polacco si era limitato a segnalare che lo studio delle orbite dei pianeti si sarebbe di molto giovato dall’assumere il sole, invece della terra, come origine del sistema di riferimento. A nanna quelle epicicloidi e consimili, sostituite da stupende ellissi. Alla filosofia del “eppur si muove”, e a evitare il rogo, ci pensasse quel babbeo venturo di Galileo.

Ma se, ormai un secolo dopo l’introduzione della Relatività Generale, andaste non dal salumaio o da un travet qualsiasi, ma a fare un sondaggio nella Facoltà di Scienze della “Sapienza” — sempre un ottimo ranking a livello mondiale — chiedendo perché la terra gira attorno al sole, che risponderebbero? Il piccolo coup de theatre gli era stato guastato da un “infedele” che si era precipitato a dire: “Per via dell’attrazione che il sole esercita sulla terra”. “La maggioranza risponderebbe così, tranne, si spera, Fisici e Matematici”, aveva affermato dopo un attimo di stupore per la prestazione inattesa. In realtà quel sondaggio non c’era mai stato e quella speranza tale restava. 

Come può reggere una teoria — l’attrazione immediata a distanza come quella Sole-Terra — quando si capisce che se questa attrazione ha da essere istantanea, come tutta la Fisica prima di Einstein aveva concordato, allora la velocità con cui si propaga l’attrazione deve essere infinita? Infatti, velocità è spazio percorso diviso tempo impiegato a percorrerlo, e se a denominatore c’è zero… L’idea di un agente fisico che si propaga con velocità infinita è un abominio per la Meccanica, anche senza scomodare il postulato della luce come agente cui spetta la velocità massima fra tutti, ma finita. E allora? Bisognava pensare a uno spazio-tempo non più “piatto”, com’è anche quello della Relatività Ristretta, e dare corso alla mirabile intuizione che un grande geometra, Bernard Riemann, aveva avuto nella seconda metà dell’Ottocento. E che poteva essere così decodificata: Materie krümmt den Raum, la presenza della materia “incurva” lo spazio degli eventi, che, perciò, non può essere rappresentato da uno spazio “piatto” come quello euclideo. Quello dove due rette parallele non si incontrano mai.

Del resto, di geometrie “non euclidee”, dove la distanza tra due punti non è un segmento di retta, Gauss e Lobacevskij ne avevano parlato già nella prima metà dell’Ottocento. E agli increduli ragazzotti era facile chiedere quale fosse la distanza tra due punti su una superficie sferica, senza “bucare” la sfera, o su una superficie cilindrica se i due punti non sono allineati su una generatrice. Un arco di meridiano, nel primo caso; un tratto d’elica nel secondo, erano le risposte sciorinate generosamente dopo infecondi tentativi.

Da qui si poteva spiccare il volo. La distanza Δs tra due punti, o meglio, il suo quadrato, è la “metrica” di una geometria, e quella euclidea è data da Δs2 = Δx2 + Δy2 + Δz2, dove a secondo membro ci sono i quadrati delle componenti di Δs secondo gli assi coordinati x, y, z della terna cartesiana presa come sistema di riferimento. Il quadrato Δs2 della   lunghezza di Δs = AB, si ottiene applicando due volte il teorema di Pitagora. I coefficienti dei termini a secondo membro sono tutti +1; nel passaggio alla Relatività Ristretta si aggiunge il Δt2 del tempo, ignorato dalla Fisica galileiana in nome dell’orologio universale. Si parla, insomma, non più di due punti nello spazio, ma di due eventi nello spazio-tempo, il nuovo universo in cui vive la Relatività Ristretta. Per ragioni fisico-matematiche davanti a Δt2 ci vuole un –1, ma il fatto fondamentale è che anche la metrica dello spazio-tempo di Einstein è una metrica “piatta”. Come fare per “incurvarla? Basta inserire al posto dei +1, –1, a secondo membro di Δs2, dei coefficienti variabili come accade per gli esempi semplici della sfera e del cilindro. Una base per capire che meridiano ed elica possono essere dedotti come “geodetiche” delle due rispettive metriche, attraverso il cosiddetto “calcolo variazionale”.

Superato lo spavento per questo nuovo ordigno, non risultava troppo difficile instradare una parte significativa degli “infedeli” verso la Mecca della Relatività Generale. Le “geodetiche” di uno spazio incurvato dalla materia sono i luoghi percorribili con la minima energia, le traiettorie “naturali” di un corpo in quello spazio. Da determinare, appunto, tramite il calcolo variazionale dove la grandezza cui applicare l’algoritmo variazionale è sostanzialmente la metrica. E le orbite dei pianeti attorno al sole sono, allora, le geodetiche dello spazio debolmente curvo del sistema solare. E qui, l’esempio standard per indurre una comprensione visiva: un telo elastico e una palla su di esso. La massa della palla, il Sole, incurva un po’ il telo, e nella conca che così si determina è agevole immaginare sul telo le curve chiuse vicino alla palla.

“Ma quale attrazione istantanea a distanza! Le orbite dei pianeti, quella della terra intorno al sole, sono l’esito della curvatura, che, anche se debole, lo spazio subisce a causa della massa del sole”, quasi un coretto conclusivo degli “infedeli” che erano riusciti a vedere la luce.  

Die allgemeine Relativität ist die schönste und schickste Theorie der Physik, die man nie hat erschöpfen können (La Relatività Generale, la più bella ed elegante teoria mai concepita dalla Fisica).

Palermo ha subito da pochi anni una piccola rivoluzione urbanistica. L’aspetto più evidente è che la parte alta del Cassero è diventata addirittura zona pedonale. Struscio, gelati nei bar all’aperto, una nuova socialità che deve ringraziare l’istituzione come patrimonio dell’umanità, da parte dell’Unesco, della Palermo arabo-normanna. Ci aveva lavorato sopra con competente intelligenza un caro amico, che aveva istruito il complesso procedimento per ottenere quel riconoscimento. Oltre all’obiettivo, raggiunto, una bella e vasta pubblicazione, posti di lavoro per i ragazzi addetti all’informazione e una ricca documentazione multimediale, là in un ufficietto in cima al Cassero. E un incremento del turismo nella città, un 25% in più rispetto a prima. 

Sulla strada per l’aeroporto “Falcone e Borsellino” verso Punta Raisi, una sosta a Sferracavallo, gemella della baia di Mondello, gli aveva offerto un fritto di paranza da resuscitare i defunti. E, illuminato da raggi estivi, un mare che occupava tutte le sfumature, dal verde all’indaco al violetto. 

Palermo gli piaceva. Tanto. © RIPRODUZIONE RISERVATA