La Piedad: la recensione del film di Eduardo Casanova che rielabora Kim Ki-duk (Sitges 55) - Il Cineocchio

2022-10-17 04:08:40 By : Mr. Simon Liu

Voto: 7/10 Titolo originale: La Piedad , uscita: 03-07-2022. Regista: Eduardo Casanova.

16/10/2022 recensione film La Piedad di Sabrina Crivelli

Eduardo Casanova è un regista estremo, viscerale e visionario, proprio per questo non adatto a tutti i palati. I suoi personaggi sono emarginati, morbosi o folli e la sua sfrontata propensione per l’assurdo lascia, con ogni probabilità, lo spettatore medio – impreparato a ciò che lo aspetta – semplicemente basito.

Questo in parte già avveniva nel bizzarro Pelle (la recensione) che metteva alla berlina la morale comune inscenando forme di surreale deformità fisica. Nel suo più recente lavoro, La Piedad, il regista spagnolo torna a puntare su immagini estreme e situazioni paradossali in una metafora filmica che assimila in un costrutto estremamente sperimentale una riflessione sulla dittatura in Corea del Nord e un relazione disfunzionale tra madre e figlio.

A detta di Eduardo Casanova stesso, la trama di La Piedad è ispirata a Pietà di Kim Ki-duk che si soffermava, anch’esso, su un rapporto famigliare deviato ai margini della società. La pellicola coreana del 2012, tuttavia, abbracciava criteri estetici e narrativi assai diversi, tendendo in ogni aspetto della messa in scena come della diegesi al crudo realismo.

La Piedad, pur essendo morboso in maniera comparabile, intraprende invece la via dell’iperestetizzazione e del racconto metaforico per descrivere la contemporaneità. Più nello specifico, lo sviluppo si struttura su due poli spazio-temporali e narrativi alternati tra loro: la dimensione domestica e soffocante di Libertad (Ángela Molina) e suo figlio, Mateo (Manel Llunell), si contrappone alla Corea del Nord in cui una famiglia viene presa di mira dallo spietato leader autoritario Kim Jong-un.

Il fulcro dell’azione, in La Piedad, è soprattutto una delle suddette dimensioni: la casa e le vicende di Libertad e Mateo. La madre è letteralmente ossessionata dal figlio che, seppur ormai un uomo adulto, è trattato come un bambino. I due sono inseparabili, lei lo segue come un’ombra, pretendendo addirittura di dormire insieme tutte le notti o di fargli il bagno.

Il poverino non può nemmeno uscire dalla porta di casa da solo, ma è perennemente assillato dalla incombente presenza e dalle mille attenzioni di lei. Gradualmente, Libertad si rende conto della crescente insofferenza di Mateo ed è terrorizzata dalla possibilità che reclami più indipendenza, quando al ragazzo viene diagnosticata una grave malattia e lei può tornare a prendersi cura di lui in tutto.

Il tono di La Piedad è singolare, volutamente stridente, eccentrico e permeato di humor nero. I dialoghi sono paradossali e assurdi, almeno quanto le situazioni in cui sono inseriti. Le prove di uno spettacolo in abiti tipici coreani, l’assassinio di uno stallone nero visto in sogno, un parto di un ragazzo adulto, i funerali in slow motion di un sanguinario leader maximo e due Pietà di Michelangelo in chiave blasfema sono alcuni dei momenti metafisici e grotteschi che costellano il film di Eduardo Casanova. Eppure, nel lato ridicolo e grottesco si insinua qualcosa di profondamente angosciante.

Le continue attenzioni di Libertad sconfinano nel patologico, fino a rasentare la sindrome di Munchausen per procura. Così, la a caricatura della madre iper-apprensiva e invadente assume contorni più sinistri. Ogni sfumatura del personaggio/personificazione viene poi resa con eccessi espressionisti nella recitazione magistrale di Ángela Molina. Manel Llunell, da parte sua, ne è il perfetto complementare: straniato, dipendente, sopraffatto e disperato, attraverso il suoi sguardo incredibilmente espressivo s’intravvede un turbinio di emozioni contrastanti.

Tuttavia, l’universo bicromo, iperestetizzato e claustrofobico delineati da Eduardo Casanova in La Piedad è solo l’antifona per un discorso più ampio, quello della dittatura e del rapporto tra potere assoluto e cittadini. Un emisfero è profondamente legato all’altro, anzitutto nel continuo alternarsi e compenetrarsi dei due piani. Ad esempio, i telegiornali nella casa di Libertad – nome indubbiamente evocativo – proiettano notizie raccapriccianti delle nefandezze di Kim che assumono contorni tragicomici attraverso la cronaca dalla presentatrice televisiva. Ne risulta così di una proiezione allegorica piuttosto evidente, ma al contempo sagace ed estremamente grottesca.

La Piedad non aderisce allo stile serio e documentario alla Garage Olimpo di Marco Bechis, ad esempio. La critica pungente di Eduardo Casanova si fonda sul contrasto visivo e sull’eccessiva patinatura dell’immagine filmica, specialmente nel descrivere il mondo di Libertad e Mateo.

La dimensione dove vivono assume i contorni della spaziosa abitazione di lusso dove domina la bicromia. Il rosa pastello in una tinta particolarmente accesa prevale sulle pareti e in molti mobili – come le sedie, la vasca e la scrivania di Mateo.

A contrasto, il nero pece tinge colonne, capitelli e dettagli di design, i pavimenti in marmo lucidissimo, oltre che l’enorme letto nero con lenzuola di seta in cui dormono insieme madre e figlio. Il minimalismo negli arredi, gli spazi ampi dai soffitti altissimi, insieme all’uso di marmi e colonne, ha qualcosa di monumentale e insieme funebre, ma potrebbe essere anche rimando al classicismo architettonico che spesso è prediletto dai potenti nei regimi dittatoriali per la solennità e l’imponenza dei suoi stilemi.

Secondo termine di paragone, a contrasto, è il cupo panorama nord-coreano contraddistinto dai toni del grigio a suggerire, in maniera piuttosto immediata,  la loro vita mesta e standardizzata dei nord-coreani.

Infatti, Eduardo Casanova decide di trattare un tema estremamente serio come la repressione in un regime totalitario non utilizzando il solito registro solenne o didattico, ma rivoluzionando l’idea stessa di satira sociale e politica. Come in precedenza, il regista spagnolo attacca allora, con caparbia impudenza, la morale comune e la sua pretesa di seriosità.

Non per questo però, La Piedad affronta il tema scelto in modo superficiale, anzi. Con tutta la potenza visionaria della sua satira tagliente e del suo senso estetico votato all’eccesso, scandalizza e sconvolge al punto da rimanere – volente o nolente – impressa indelebilmente nella memoria dello spettatore e suscitare una riflessione tutt’altro che banale.

Di seguito trovate il trailer ufficiale di La Piedad, al momento senza una distribuzione italiana:

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