Fabio Viale, emozioni in marmo - PROGRESSonline

2022-10-15 00:09:07 By : Mr. Jack Zhang

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Spiazza, stupisce, fa riflettere. L’arte di Fabio Viale non lascia indifferenti: la materia è la sua sfida, la trasformazione la sua aspirazione. Viale non si pone limiti, ma si accosta al marmo con la consapevolezza di trovare in questo solo possibilità. Eccentrico, forse, provocatorio, quando serve: Fabio Viale – scultore da quando aveva 16 anni –gestisce il suo talento con la maturità di chi sa che l’arte non è fatta solo per stare dietro ad una teca, ma deve infrangere i vetri per presentarsi a chi la contempla con un messaggio. L’arte deve avere qualcosa da dire, non è fatta per tacere. Questo strumento di comunicazione Fabio Viale lo trova nel marmo, nella sua durezza e apparente staticità: nelle sue mani la pesantezza si fa leggera, la rigidità diventa modulabile, la scultura si riempie di anima. Il suo è il linguaggio dell’ossimoro, che non è contrasto ma completezza.

Fabio Viale, nato nella provincia di Cuneo, in Piemonte, ha scelto il marmo ai tempi del liceo artistico, quando il professore – vedendo che modellava la creta con facilità – gli propose un sasso di marmo: ne scoprì la bellezza, la fisicità e la compatibilità necessaria per creare un rapporto a due intimo e pieno.

Per imparare il mestiere entrò in bottega, cercando di trarre dal marmo il suo sostentamento. I primi anni iniziò a lavorare da solo, principalmente come restauratore e “falsario”: un artigiano aveva ad esempio bisogno di una statua come se fosse del Settecento, lui la faceva. L’approdo all’Accademia Albertina di Torino iniziò a tracciare il suo percorso, ma il vero mestiere lo imparò sempre al di fuori dei “banchi di scuola”, tra gli artigiani. Il grande cambiamento probabilmente avvenne quando conobbe il gallerista newyorchese Sperone, quello che gli consentì di entrare nelle gallerie più importanti e di non preoccuparsi troppo di quei problemi economici che si erano presentati fino ad allora ogni volta che acquistava un blocco di marmo. Ma se gli incontri furono importanti, le sue idee lo furono ancor di più.

Quando ci si trova di fronte alle opere di Fabio Viale, l’impatto visivo ed emotivo è incredibile, suggerendo riflessioni e commenti che potranno essere polemici o di sintonia a seconda dello sguardo dell’osservatore. Di sicuro non regalano impassibilità e indifferenza. Le sue opere sono fatte di movimento e per oltrepassare confini: lo dimostra bene Aghalla, la barca in marmo capace di galleggiare e muoversi tra le acque. Aveva appena terminato gli studi e, dopo aver testato un prototipo di un metro nella vasca da bagno, andò a Carrara e riuscì a convincere un cavatore a dargli a credito il marmo necessario. In una soffitta quel pezzo di marmo è diventato in due mesi una barca che, attaccato il motore, è riuscita a navigare dalle acque del Tevere a Roma al lago del Gorky Park a Mosca. Un’opera, quindi, ma anche una sfida capace di mettere a dura prova le leggi della fisica: il marmo è andato al di là della scultura per diventare materia viva, vibrando e acquisendo una funzione spesso distante dalle finalità dell’arte.

Fabio Viale si misura continuamente con se stesso, ma anche con l’autorevolezza di un’arte canonica e classica che è più facile reputare intoccabile che reinterpretare. Viale non mette in discussione i capolavori dell’arte, ma li utilizza per renderli contemporanei, affidando loro una rappresentazione concettuale figlia del presente. Accade con il Cristo nero, una fedelissima copia in marmo della Pietà di Michelangelo con un ragazzo africano in carne e ossa abbandonato sul grembo della Madonna. Il significato è lì, davanti agli occhi, e non richiede alcuna interpretazione: il senso è nudo come il corpo custodito dalla Vergine, è il dolore materno, un dolore sacro che abbraccia tutti, a partire dai disperati.

La sua dialettica dello spiazzamento è il principio fondante, la stessa che si rintraccia nella mano di Costantino, intitolata Door Release. L’originale, parte integrante del colosso di Costantino e conservata ai Musei Capitolini, si veste dei tatuaggi dei detenuti sovietici, creando una fusione temporale e concettuale che in questa unione genera frattura. Allo stesso modo la Venere di Milo, icona della bellezza classica, abbandona gli schemi canonici per dare spazio sul suo corpo ad antichi affreschi “tatuati”. I segni stravolgono la bellezza raffinata ed elegante, rendendola più tangibile proprio per questa effetto forte e incisivo. Il contrasto si fa ancora più netto nell’illusione che regala la Venere del Canova reinterpretata da Fabio Viale: la scultura acquista la leggerezza nell’effetto del polistirolo che l’artista gli conferisce, nascondendo la sua reale materia marmorea. È estraniante l’effetto ma d’impatto il risultato. La bianchezza del marmo si altera, la classicità si attualizza, grazie ai segni più aggressivi che danno alle statue il racconto di una vita.

È la filosofia del realismo e della contemporaneità a lasciare l’impronta nelle opere di Fabio Viale, il quale passa dal citazionismo delle opere classiche alla riproduzione – rigorosamente in marmo – di oggetti di poco valore, come possono essere pneumatici di SUV, assurgendoli a opere d’arte.  Il percorso artistico di Viale è evidentemente fatto di virtuosismi artistici e guizzi provocatori che lo portano a rintracciare continuamente nella realtà uno spunto di riflessione, un pretesto per plasmare la materia, facendo dimenticare la freddezza e il timore che facilmente essa incute. Il tutto diventa un cortocircuito in cui l’artista va oltre gli equilibri estetici della scultura classica, attribuendo alle sue opere un nuovo senso storico. Viale si muove in questa rivisitazione partendo da una perfetta conoscenza delle tecniche scultoree, anche questa sempre rinnovata perché guidata da una perenne curiosità che lo anima, sperimentando continuamente un nuovo linguaggio e preferendo l’immediatezza al retropensiero.

È l’arte che acquista vita, quella di Fabio Viale. È materia che si scalda riappropriandosi di una storia.

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