Il quattordicesimo numero di Storie di Storia, la newsletter de La Repubblica, è dedicato al Reggimento dei Corazzieri, la guardia d’onore del Presidente della Repubblica Italiana. Ci è stato concesso di entrare nella loro caserma in via XX Settembre a Roma per raccontarvi la storia del reggimento a cavallo e farvi ammirare – con immagini suggestive ed esclusive – la casa dei Corazzieri, un’eccellenza dell’Arma che da un secolo e mezzo veglia sulle massime istituzioni dello Stato. Oggi rappresentano la continuità storica di tutti i reparti che hanno avuto, dal XVI secolo in poi, il compito prestigioso di Guardie d’Onore presso la corte sabauda. Essi, infatti, hanno seguito nel corso della storia la prima Carica dello Stato, vivendo momenti epocali e talora drammatici. Accompagnandoci nella visita della caserma, il Comandante del corpo scelto, il Generale di Brigata Luciano Magrini, ha risposto alle domande di Storie di Storia.
Buona visione e buona lettura.
Storie di storia, la rubrica e newsletter a cura di Francesco De Leo che si occupa di storia, ha potuto visitare e documentare la vita dei corazzieri, il corpo speciale al servizio del presidente della Repubblica al Quirinale. Ecco le immagini esclusive
“COSA VUOL DIRE ESSERE A CAPO DI UN REGGIMENTO LEGGENDARIO”
Che significato ha per lei comandare un corpo leggendario come i Corazzieri, nati prima degli stessi Carabinieri?
«Le risponderò cercando di dar voce alle sensazioni provate nel giorno della mia assunzione del Comando di questo prestigiosissimo Reparto. A distanza di oltre tre anni il ricordo è fortissimo e vivido nella mia mente. Quello è stato per me un momento di coinvolgente emozione e di “chiamata” a ulteriori, grandi responsabilità. Ricevere in custodia la gloriosa Bandiera di Guerra (che per i reparti a cavallo prende il nome di Stendardo, perché di più ridotte dimensioni) di un Reparto che da oltre quattro secoli è costituito da uomini scelti per proteggere e rappresentare la più alta carica dello Stato ed avere il privilegio di poter guidare questo antico corpo, dopo 62 predecessori, sono prerogative che in un Comandante vivificano i sentimenti d’orgoglio e fierezza ma che altresì impongono grande umiltà e massima attenzione anche ai più piccoli dettagli d’ogni servizio».
I moderni Corazzieri nascono in occasione del matrimonio reale del 7 febbraio 1868, il Principe ereditario Umberto sposa Margherita di Savoia, figlia del Duca di Genova. Come è cambiato il compito del Reggimento Corazzieri?
«In realtà per i Corazzieri sono cambiati gli equipaggiamenti, non il “core business”, che rimane quello di quattro secoli fa: proteggere e rappresentare il Capo dello Stato. Oggi il Reggimento Corazzieri è un’unità speciale dell’Arma dei Carabinieri e ad esso sono attribuiti i compiti di alta rappresentanza, guardia, scorta d’onore, protezione e sicurezza del Presidente dalla Repubblica (D.P.R. 28 gennaio 1991, n. 39). Tali compiti prevedono una serie di dipendenze funzionali del Reparto da strutture ad esso sovraordinate. Per l’espletamento dei servizi di rappresentanza, guardia e scorta d’onore, di polizia militare e di altri servizi militari, il Reggimento Corazzieri opera alle dipendenze del Segretario Generale o dall’Autorità militare inquadrata nel Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica da lui delegata, ovvero il Consigliere per gli Affari Militari. Quelli di alta rappresentanza comprendono i servizi a piedi, gli schieramenti a cavallo, le scorte d’onore a cavallo e in motocicletta. Gli stessi servizi vengono dedicati anche ai Capi di Stato in visita di Stato o Ufficiale in Italia e al Presidente del Senato quando esercita le funzioni del Presidente della Repubblica, secondo Costituzione. Le modalità con le quali tali servizi vengono disimpegnati tengono conto della natura e dell’importanza dell’evento e delle conseguenti esigenze di protocollo e cerimoniale, frutto di prassi consolidate, peraltro analoghe a quelle di molti altri paesi con ordinamenti, cultura e tradizioni similari. Inoltre il Reggimento provvede alla protezione diretta e immediata del Capo dello Stato, della sua famiglia e delle autorità e personalità estere sue ospiti, all’interno del Palazzo del Quirinale e nelle sedi adibite a Sua residenza temporanea. Quale unica forza di polizia presente all’interno del Palazzo del Quirinale il Reggimento assolve ai quotidiani servizi di protezione, vigilanza e sicurezza. I servizi di protezione sono affidati prevalentemente al Reparto di Sicurezza, istituito nel 1990 per volontà dell’allora Presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Questa articolazione è costituita da militari che vengono sottoposti ad un ciclo specifico di addestramento che li porta a conseguire molteplici specializzazioni (tiratore scelto, guardia del corpo, artificiere …) al fine di conferirle una spiccata capacità operativa autonoma, rafforzata anche dalla presenza – unica realtà dell’Arma con tale caratteristica – di una componente proveniente dal Gruppo Intervento Speciale dei Carabinieri. I compiti di vigilanza e sicurezza all’interno del Palazzo del Quirinale sono attribuiti, in via esclusiva, al Reggimento Corazzieri che provvede alla pianificazione, all’organizzazione e all’esecuzione dei relativi servizi secondo una direttiva emanata dalla Sovraintendenza Centrale dei Servizi di Sicurezza della Presidenza della Repubblica al cui vertice è collocato il Prefetto Direttore».
Ci racconta il passato della caserma dei Corazzieri che ci è stato concesso di fotografare per i lettori di Storie di Storia de La Repubblica?
«L'edificio sede della Caserma dei Corazzieri fa parte del complesso di costruzioni monastiche annesse alla Chiesa di Santa Susanna, basilica le cui origini risalgono al VI secolo d.C.. Dal 1870, una parte delle costruzioni è passata al demanio statale venendo destinata a caserma, mentre un'altra è rimasta alle monache ormai presenti da quasi due secoli. La scelta dell’edificio è stata fatta in ragione della presenza nel convento di una vasta area adibita a giardini e prati, perfetti per i cavalli dell’allora Squadrone Carabinieri Guardie del Re e della vicinanza col Palazzo del Quirinale, nuova sede del Sovrano. La divisione degli ambienti è stata attuata, a detta dei più, con criteri abbastanza irrazionali, così verificandosi "la straordinaria circostanza che sulla stessa galleria stanno da un lato le suore di clausura, dall'altra i Carabinieri Guardie, salvo sempre e naturalmente i debiti diaframmi" (Apolloni Ghetti). La caserma dei Corazzieri è intitolata al Maggiore Alessandro Negri di Sanfront, Comandante degli squadroni Carabinieri nel glorioso episodio della Carica di Pastrengo, risalente alla I guerra d'indipendenza. Si compone, tra l'altro, di due scuderie, di una selleria, di un maneggio coperto e di un laboratorio dove vengono realizzati su misura elmi e corazze. Le due scuderie della Caserma possono ospitare complessivamente 42 cavalli e sono state realizzate a partire dal 1925. In origine i quadrupedi erano scuderizzati nelle cosiddette “poste”, ovvero in spazi suddivisi da separatori mobili. Nel 1975, grazie all’operosità dei Corazzieri falegnami e maniscalchi, sono stati realizzati ampi box e le scuderie hanno assunto la configurazione attuale. Un altro ambiente importante per le attività ippiche ed addestrative del Reggimento Corazzieri è il maneggio coperto la cui realizzazione risale ai primi anni '30 del Novecento. Le dimensioni della struttura sono di mt. 45x25 ed il fondo è realizzato in sabbia di fiume e tessuto non tessuto. Tutti i finimenti che compongono le bardature per i cavalli e i materiali che sono utilizzati per il quotidiano “governo della mano” sono custoditi nella selleria che è ubicata in una parte di quello che una volta era il chiostro del Convento della Chiesa di S. Susanna. La bardatura per il cavallo equivale all’uniforme per il Corazziere. Inoltre nella caserma è presente una piccola cappella che, in ragione della connotazione del Reggimento quale Reparto a Cavallo dell’Arma dei Carabinieri, è intitolata a San Giorgio, proclamato Patrono di tutti i cavalieri da Papa Pio XI, nel 1937. La struttura principale della Cappella, che già si presentava suggestiva grazie all’architettura cinquecentesca del porticato monasteriale fatto costruire da Sisto V, ospita sei affreschi, opera del Brigadiere dei Corazzieri Michelangelo RAVERA che ha realizzato l’intera serie nel quinquennio 1963-1968. La presenza del cavallo in tutti e sei gli affreschi è testimonianza dell’autentico spirito di cavalleria che si respira nel Reparto. Nel 1964, durante i lavori per la realizzazione di nuovo refettorio nella caserma, è stato scoperto un complesso archeologico attribuito a diversi periodi tra cui un grande ninfeo, della metà del I sec. d.C., della famiglia dei Flavi, dinastia che con Vespasiano, Tito e Domiziano, governò Roma dal 69 al 96 d.C.. È noto che la zona compresa tra la Piazza del Quirinale e quella di San Bernardo fosse occupata da numerose case signorili tra le quali, di maggiore importanza, vi era, appunto, quella della famiglia dei Flavi ed è assai probabile che i reperti archeologici presenti siano i resti della casa natale di Domiziano, di cui era proprietario lo zio Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, il cui nome compare in alcune iscrizioni (ad esempio un tubo di piombo) rinvenute nei pressi della caserma. Gli scavi effettuati sotto il pavimento del refettorio hanno inoltre liberato un muro di facciata contenente un grande mosaico parietale e una parte della parete laterale destra dell’ambiente».
Dal XVI secolo a guardia della prima carica dello Stato
La storia dei Carabinieri Guardie del Presidente della Repubblica – conosciuti con il nome di Corazzieri – risale ad epoca remota e si riallaccia agli albori del vecchio Piemonte. Un’eccellenza dell’Arma che da un secolo e mezzo veglia sulle massime istituzioni dello Stato. Oggi i Corazzieri rappresentano la continuità storica di tutti i reparti che hanno avuto, dal XVI secolo in poi, il compito prestigioso di Guardie d’Onore presso la corte sabauda. Essi, infatti, hanno seguito nel corso della storia la prima Carica dello Stato, vivendo momenti epocali e talora drammatici.
Il reggimento Corazzieri trae origine dai 3 squadroni di Carabinieri Reali a cavallo che, con lo scioglimento delle Guardie del Corpo, furono preposti alla sicurezza del Re di Sardegna Carlo Alberto. Il reparto si distingue oggi per uniformi sgargianti, ricche di elementi di distinzione, quali alamari e mostreggiature a colletto e paramani di colore rosso scarlatto, la cui particolarità va ben oltre la necessità di diversificazione dell’uniforme da quella degli altri carabinieri, ma si riallaccia a una tradizione storica secolare, che ci conduce ben al di fuori dell’Arma, ad un tempo antecedente alla sua costituzione. Il primo passo di questa ricerca prende le mosse dall’esigenza del Duca di Savoia di costituire unità fidate di cui circondarsi, e non solo in battaglia. Erano gli eredi dei pretoriani di romana memoria, di cui si sperava non ereditassero le derive autoritarie.
Amedeo VII, il Conte Verde, per la protezione ravvicinata fece ricorso alla nobiltà e dal 1385 ebbe una scorta composta di Arcieri a cavallo. Dal 1546 una Guardia di 65 uomini proteggeva Emanuele Filiberto, detto Testa di Ferro: era presente anche alla vittoriosa battaglia di S. Quintino del 10 agosto 1557. Il Duca costituì nel 1560 una compagnia di Arcieri a presidio del Palazzo Ducale e nel 1579 vi aggiunse una compagnia di Svizzeri cattolici, che lo protessero efficacemente all’assedio di Mons nel 1590 e l’anno dopo, a Vinon. Nel 1607 Carlo Emanuele I compose la scorta solo di savoiardi, non fidandosi dei piemontesi – ricordiamo che si trattava di una dinastia francofona – denominandola Compagnia Gentilhuomini arcieri, cui nel 1634 Vittorio Amedeo I aggregò le Compagnie Corazze di S.A.R. e di Madama Reale. Al tempo non esistevano uniformi e i soldati del Duca si distinguevano utilizzando sciarpe e fiocchi in azzurro, colore tutt’ora dell’onore militare nazionale, da cui derivò anche la maglia delle nostre rappresentative nazionali.
Accanto a questa componente elitaria, nel 1659, il duca di Savoia Carlo Emanuele II costituì il rgt. di fanteria d’ordinanza (di proprietà ducale) Guardie, cui dette le prime uniformi in quanto ritenuto reparto scelto, composto da affidabili veterani, l’ultima risorsa da spendere o quella cui affidare i compiti più gravosi. Nel 1664, quando ottenne la precedenza su tutti gli altri reggimenti, vestiva un cappello di feltro nero munito inizialmente di cordone dorato intorno alla coppa, progressivamente modellato arrotondando la tesa bordata di gallone dorato e che presentava un fiocco azzurro. Il giustacorpo (giubba lunga alle ginocchia) era blu con fodera, paramani (estremità rivoltate e abbottonate delle maniche), matelotte (risvolti al petto), veste (panciotto lungo fino a metà coscia), cravatta, calzoni (o bragoni, fin sotto il ginocchio, larghi e ingombranti, poi ridotti nelle dimensioni) e calze di colore rosso, e bottoni in rame. Le scarpe, uguali per le due estremità, erano di cuoio di bufalo, come bandoliera e bretella porta-borsa. I colori blu e rosso aumentavano i costi dei tessuti: il Ducato di norma forniva uniformi biancastre, eccetto che ai mercenari svizzeri e ai più ricchi dragoni.
Con la distribuzione delle prime rudimentali granate a mano, nel 1685 ogni compagnia del reggimento Guardie ebbe 6 granatieri, riunibili in una compagnia. Per non essere intralciati nel mettere a tracolla il fucile e aver le mani libere per maneggiare granate e acciarino, ebbero un copricapo di pelo, a forma di basso zuccotto, come gli zappatori.
Intanto, nella Casa Militare del Duca, nel 1673 nacque l’appellativo di Guardie del Corpo per il reparto montato frutto dell’aggregazione delle componenti descritte in precedenza, i cui appartenenti - anche se rivestivano gradi inferiori - avevano paga e soprattutto rango da ufficiale. A fine secolo il Duca “Havendo noi ordinato che gli soldati delle 4 compagnie delle Nostre Guardie del Corpo in avvenire, cominciando dall'istante anno 1686, siano vestite uniformemente...” dette loro giustacorpo rosso, con gallone argento a paramani e tasche ai fianchi, cravatta bianca annodata al collo con lembi fuori del giustacorpo, veste camoscio, calzoni rossi, bottoni argentati. Ho voluto descrivere sommariamente le tenute di questi soldati, per evidenziare come il colore rosso fosse un distintivo della vicinanza al sovrano.
Con Vittorio Amedeo II le Guardie del Corpo presero parte alla guerra contro i Valdesi (1686-1689), alla quale il giovanissimo Duca aveva dovuto aderire per non inimicarsi il potente Luigi XIV: i Savoia erano per una politica di tolleranza verso la chiesa riformata, a differenza del re di Francia. Il 17 aprile del 1686 erano a Bricherasio al Gran Quartier Generale, e iniziarono le operazioni il 23. La vittoria sui Valdesi non entusiasmò il Duca che, per sottrarsi al controllo francese, si accostò alla Lega di Augusta. Ebbe inizio un durissimo periodo per il Ducato. Nel 1690 Vittorio Amedeo II riorganizzò le Guardie del Corpo in 4 cp.: 1^ Gentil huomini Archieri; 2^ Archibugieri a cavallo di S.A.R.; 3^ Corazze di S.A.R.; 4^ Corazze di Madama Reale. Il 18 agosto 1690, alla battaglia di Staffarda, i francesi ebbero la meglio sull'esercito guidato da Vittorio Amedeo e dal Principe Eugenio di Savoia, ma rgt. Guardie, carabinieri del rgt. Savoia Cavalleria e 2 cp. delle Guardie del Corpo protessero la ritirata su Moncalieri. Nella successiva battaglia di Carmagnola si distinsero nuovamente le Guardie del Corpo e il 4 ottobre 1693 a Marsaglia, ove i francesi prevalsero nuovamente, sostennero con fermezza l’impeto nemico rimanendo quasi tutti feriti o uccisi. La guerra si concluse favorevolmente e il Duca ne trasse vantaggi insperati sul piano politico, ma la pace non durò a lungo in seguito alla riapertura delle ostilità per la Successione Spagnola (1700-1714).
Fra 1700 e 1702 si ebbero modifiche alla tenuta del rgt. a piedi Guardie, significativa l’aggiunta di bottoniere di filo d’argento ad asole e bottoni, antesignane degli alamari, prima alla veste, in seguito anche al giustacorpo. Accessori costosi, indicavano il prestigio del reparto.
Nel 1702 Vittorio Amedeo II, alleato dei francesi, aveva fornito poco più di 4.000 uomini fra i quali il 2° btg. Guardie, ma a San Benedetto Po, il 29 Settembre 1703, questi reparti furono disarmati e arrestati su ordine di Luigi XIV, che temeva un voltafaccia. Rimasero in Piemonte gli altri 2 btgg. del rgt. Guardie e in effetti a novembre 1703 il duca si alleò con l'Impero e nei primi mesi del 1704 schierava, fra le unità pronte a entrare in campagna, il 3° btg. Guardie, mentre a difesa della piazza di Vercelli vi erano 1° e 2° btg.. La guerra prese una piega sfavorevole e i franco-spagnoli giunsero ad assediare Torino. Nella primavera del 1706, a parte le Guardie del Corpo, nella capitale furono concentrati, fra gli altri, 2 btgg. del rgt. Guardie, che si distinsero durante l’assedio. Il duca aveva abbandonato la città, ma giunti i rinforzi degli stati della Lega al comando del cugino Principe Eugenio di Savoia, il 7 settembre 1706 mosse all'attacco. Il campo trincerato francese fu travolto dall'impetuosa carica delle truppe alleate con alla testa le Guardie del Corpo, che ottennero come trofeo i timballi conquistati. Quella giornata segnò la liberazione della città e l'inizio del tracollo francese.
Nel primo decennio del XVIII sec. le Guardie del Corpo arricchirono le uniformi: alla spalla destra furono aggiunte lenze di gallone e filo argentato, e altro gallone argentato adornava giustacorpo e bandoliera. Il mantello era rosso, ampio con colletto rivoltato, pellegrina e paramani gallonati d’argento.
Il 27 settembre 1710 Vittorio Amedeo II soppresse 3^ e 4^ compagnia Guardie del Corpo e ridimensionò gli organici delle due rimanenti, portandole a 60 uomini compresi i sottufficiali, chiamando a farne parte il personale più valido per doti fisiche e morali. Erano considerate l'élite della cavalleria, la nascita nobile era tassativa per gli ufficiali. La 1^ compagnia era denominata gentiluomini arcieri e composta da savoiardi, la seconda da piemontesi. In seguito alla pace di Utrecht del 1713, che concluse la guerra di Successione Spagnola, Vittorio Amedeo II ottenne il titolo di re e la Sicilia, e ricostituì la 3^ cp. Guardie del Corpo con siciliani e piemontesi. Dopo la cessione della Sicilia all’Austria e l'assegnazione a Vittorio Amedeo II della Sardegna, nel 1720, la 3^ ebbe altro personale piemontese. Due anni più tardi fu istituita la compagnia Alabardieri del Viceré di Sardegna, dotata di giubbe rosse, e le Guardie del Corpo ebbero giustacorpo chiuso, calze e mantello color rosso scarlatto, poi veste azzurra, stivaloni, tricorno guarnito d'oro, galloni d'argento. Distintivo speciale del corpo era la bandoliera di velluto azzurro gallonata in oro con piastre d'ottone, e si aggiunsero finiture d'oro al giustacorpo con alamari di seta blu a frange d'argento e bottoni di rame dorato. Negli anni successivi si susseguirono modifiche, occorrerebbe ben altro spazio per illustrarle, ma rosso, gallonature e alamari in oro e argento rimasero i segni di distinzione dei reparti di fiducia del sovrano.
Con l’abdicazione di Vittorio Amedeo II, nel 1730 salì al trono Carlo Emanuele II che regnò per 43 anni e dedicò molta cura alle cose militari. Il Piemonte venne coinvolto nelle guerre di Successione Polacca (1733-1739) e Austriaca (1740-1748), e le Guardie del Corpo seguirono il Re, fornendo ripetute prove di fedeltà. Ogni qualvolta il Re si muoveva veniva scortato da un distaccamento di guerra composto da 30 Guardie: 4 lo precedevano, il comandante camminava al suo fianco, il resto del drappello chiudeva la marcia. Le Guardie del Corpo ricevevano gli ordini personalmente dal Re, prerogativa di cui andavano fiere. Nel 1736 apparvero alamari dorati alle bottoniere di giustacorpo e paramani, oltre a gallonature dorate a tasche e veste.
Anche il rgt. Guardie fece la sua parte, celebre la resistenza all’Assietta nel 1747 contro preponderanti forze francesi, sconfitte, vuole la tradizione, perché il comandante del btg. impegnato, ten. col. di S. Sebastiano, rifiutò di obbedire all’ordine di ripiegare.
Nel 1751 la fanteria nazionale fu riorganizzata su 9 reggimenti, di cui 6, fra i quali il Guardie, su 2 btgg, ciascuno su 9 cp. fucilieri e 1 granatieri. Dal 1750 vestiario, equipaggiamento e armamento erano regolamentati e forniti dall'Uffizio del Soldo tramite appalti con impresari: solo i reparti esteri (mercenari) e di Casa Reale potevano rivolgersi a propri fornitori di fiducia.
Il rgt. Guardie ebbe fino al 1753 bottoni di ottone, poi di stagno; analogamente i cappelli ebbero prima un gallone di bava gialla e, da quella data, di finto argento. Il berretto di pelo dei granatieri aveva la parte posteriore sagomata a mandorla, rivestita di panno rosso, all’estremità posteriore pendeva una coda con punta rossa, guarnita da fiocco in lana. Non si risparmiò sugli alamari, in bava gialla fino al 1753 e poi di poil bianco: 34 (8 grandi, 18 medi e 8 piccoli) sul giustacorpo e 24 (2 grandi e 22 medi) sulla veste. Galloni dorati, poi argentati, identificavano graduati e sergenti, mentre più ricchi di alamari – 38 di panno blu – e passamaneria erano le giubbe dei musicanti.
Nel 1772 la cavalleria utilizzava giustacorpo rosso, per le Guardie del Corpo con alamari e galloni dorati in segno di distinzione.
Il 20 febbraio 1773 salì al trono Vittorio Amedeo III, gran parte del suo regno trascorse in pace e poté dedicarsi al riordino dell'esercito sul modello di quello prussiano di Federico II. Le Guardie del Corpo ebbero colore delle bandoliere diverso per ciascuna compagnia: blu per la 1^, scarlatto per la 2^, bianco per la 3^. Tali rimasero fino al loro scioglimento.
Il Regolamento degli Uniformi delle Regie Truppe del 1774 non introdusse novità sostanziali, il rgt. Guardie aveva alamari a fiocco, i brandemburghi. Appuntati, volontari, cadetti e soldati ne avevano 36 di poil bianco, con 34 fiocchi di filo dello stesso colore; stesso numero per sergenti maggiori e caporal maggiori, in argento con fiocco di filo per i secondi e di filato d’argento per i primi. Altro elemento caratteristico di sergenti e caporali del rgt. Guardie era lo scussone o fiorone, due alamari corti applicati in orizzontale sul vertice dell'apertura delle falde del giustacorpo, sormontati al centro da gallone ripiegato a punta e cucito verso l'alto.
Nel 1774 le 3 compagnie di Guardie del Corpo adottarono il giustacorpo turchino, vennero mantenuti paramani a botta e distintivi di grado di ufficiali e graduati. Il giustacorpo era simile a quello della cavalleria, con bottoni di metallo dorato e colletto, paramani e fodera in rosso. Un gallone d'oro guarniva orli anteriori, patte delle tasche e bordo di colletto e paramani. Vi erano poi 26 alamari a punta di gallone d'oro con fiocco di filato, spallina di gallone con frangia d'oro cucita sulla spalla sinistra e piccoli cuori in gallone d'oro cuciti sui risvolti delle falde; le asole erano rifinite di cordone d'oro.
Nel 1778 venne introdotto un abito più semplice, il surtout, da indossare per servizi di importanza minore e per esercizi in quartiere, aveva stesso taglio e colore del giustacorpo, ma senza bordature in gallone e “solo” 18 alamari.
Tra gli altri elementi distintivi delle uniformi si ricordano le dragone, annodate all'elsa della daghe. Le compagnie del rgt. Guardie le avevano di lana bianca e rossa, quelle di tamburini, pifferi e corni da caccia erano di lana bianca e turchina. Per i caporali erano di lana turchina con frangia; per sergenti maggiori, sergenti e tamburi maggiori era di seta turchina con frangia mista oro e turchina. Questo color turchino lo ritroveremo nelle dragone delle daghe del Corpo dei Reali Carabinieri, considerati, lo rammentiamo, caporali.
Col 1784 anche l'uniforme di Dragoni e Cavalleggeri di SM fu arricchita con alamari. Il giustacorpo dei Dragoni di SM ne ebbe 36 e un fiorone posto sull'apertura posteriore, in gallone d'argento per brigadieri maggiori e brigadieri, in lana per tutti gli altri; i Cavalleggeri di SM “si accontentarono” di 30 in gallone d'argento o in lana bianca. Contemporaneamente le tenute delle Guardie del Corpo si arricchirono ancor di più di alamari: ornamenti d’importanza simbolica erano riservati ai reparti più legati a Casa Savoia.
Nel 1792 la Francia, dopo la Rivoluzione, invase Savoia e Piemonte, e re Vittorio Amedeo dovette accettare le dure condizioni dell’armistizio di Cherasco del 27 aprile 1796. Alla sua morte, in ottobre, fu sostituito da Carlo Emanuele IV, che abdicò in favore del fratello Vittorio Emanuele I e si ritirò in Sardegna, dove lo seguirono poche Guardie del Corpo. L'armistizio obbligò il re a contrarre l'organico dei reggimenti, tranne quello delle Guardie, che rimase su 1.500 uomini. Nel 1798 furono sciolti i reggimenti nazionali fra cui il Guardie, e il re fu costretto a trasferirsi in Sardegna.
Nell’aprile dello stesso 1799 venne istituita la Compagnia Sarda di Guardie del Corpo, cui fu affidato il servizio d'onore a corte. A Vittorio Emanuele I rimase solo la Sardegna fino al 1814: quando riebbe i suoi domini vennero ricostituite le 3 compagnie di Guardie del Corpo (1^ savoiarda, 2^ piemontese e 3^ sarda) e nel 1815, dopo il Congresso di Vienna, fu aggiunta una 4^ cp. di Liguri.
Le Guardie del Corpo avevano grande e piccola tenuta, la prima indossata a palazzo e in occasioni solenni. L'abito era di panno turchino, a un petto con 7 bottoni dorati; colletto, paramani, fodera e risvolti erano rossi. Gli ornamenti comprendevano: 1 alamaro al colletto, 7 al petto in corrispondenza dei bottoni, 3 rispettivamente a tasche e paramani (tutti in gallone d'oro ricamato, con fiocco); cifre reali coronate ai risvolti; spalline da cavalleria in metallo dorato con frangia in filato d'oro. Il bicorno era di feltro nero, con gallone e cappio d'oro, coccarda e piumetto diritto turchini. I pantaloni erano turchini d'inverno e di tela bianca d'estate. In piccola tenuta si utilizzava il surtout completamente turchino con doppia fila di 9 bottoni; al colletto un alamaro in gallone d'oro.
Nel 1814 l’abito del ricostituito rgt. Guardie era simile al modello dell’esercito austriaco, già introdotto nell'Armata Sarda a fine ‘700: di panno turchino scuro, chiuso da 9 bottoni di metallo, con falde tagliate sul davanti ad arco a coprire i fianchi. Si trattava di una sorta di marsina, ove falde e risvolti – cuciti – avevano perduto l’originaria funzione che avevano nel giustacorpo. Si usò per breve tempo un caschetto di cuoio e metallo di due modelli, uno adottato il 29 settembre 1814, il secondo, definitivo, approvato il 26 Ottobre. Il primo era uguale a quello del periodo dell'esilio in Sardegna: coppa in cuoio annerito con visiera piatta dello stesso materiale, lungo il bordo era fissato uno coprinuca abbassabile. La coppa era sormontata da un piccolo cimiero, in cuoio, che sosteneva una cresta di lana turchina. Sulla parte anteriore vi era una piastra di ottone, con scudo con le armi di Savoia moderna, tra trofei di bandiere. Il secondo modello, privo di coprinuca, aveva due visiere circolari: l’anteriore bordata da lamierino di ottone. Il cimiero era di ottone con cresta di ciniglia turchina. I soggoli a scaglie e i rosoni erano di ottone, come la piastra anteriore. Dal 1816 iniziò ad essere rimpiazzato dallo shako.
Nel 1816 il rgt. Guardie venne rinominato Granatieri Guardie e il rgt. di ordinanza Sardegna passò alla fanteria leggera come rgt. Cacciatori Guardie, le sue cp. scelte di battaglione furono denominate carabinieri. Questi sullo shako nelle occasioni ufficiali usarono fino al 1834 la coperta pellicciata adottata nel 1816, fodera rivestita di pelo d'orso nero con imperiale in cuoio e cordoni con nappe e fiocchi di cotone bianco. Nel 1831 Carlo Alberto costituì le brigate di fanteria: la Guardie era formata dai rgtt. Granatieri Guardie (su 4 btgg., ciascuno con 1 cp. scelta e 4 cp. granatieri) e Cacciatori Guardie (su 2 btgg., ciascuno con 1 cp. carabinieri e 5 cacciatori).
L’uniforme dei rgtt. Granatieri e Cacciatori Guardie continuava a presentare alamari a punta, detti brandemburghi, a petto, tasche e ai 3 bottoni cuciti al di sopra dei paramani: in lana per soldati e caporali, in gallone argenteo per i sottufficiali; i galloni dei granatieri terminavano con un fiocco dello stesso materiale. Colletto, paramani, fodera e risvolti erano di colore scarlatto, i bottoni di stagno. Le piastre di casco, i berrettone di pelo e i shakot erano di un modello specifico. Al solito i musicanti recavano una quantità ancora maggiore di decorazioni.
In seguito i reggimenti della br. Guardie mantennero alcuni elementi distintivi, anche se molto semplificati rispetto a quelli in uso in precedenza. L'abito dei granatieri, simile a quello della fanteria, aveva 2 petti con file di 9 bottoni. Colletto, paramani, fodera, risvolti, filettature al petto, alla vita, alle spalline e ai passanti erano scarlatti; stesso colore per le spalline all'inglese adottate da tutte le compagnie. Su colletto e paramani comparve un alamaro rettangolare, in gallone di lana bianca per granatieri e graduati, d'argento per i sottufficiali. I risvolti erano ornati di granate in filo bianco. L’abito dei cacciatori aveva falde molto corte, completamente unite e tagliate ad arco; i due risvolti, uno per parte, erano ornati da cornetta con le cifre del Re al centro, in filo bianco. L'abito aveva alamaro a punta ai paramani, il verde alle filettature alle spalline e ai relativi passanti e alle spalline all’inglese. Le compagnie carabinieri avevano filettature e spalline all'inglese di colore scarlatto e granate a fiamma diritta ai risvolti delle falde. Il berrettone di pelo d’orso, inizialmente riservato alle compagnie scelte del rgt. Granatieri, fu esteso a tutte le compagnie. Davanti alto cm. 31, dietro 22, era ornato di granata e di imperiale scarlatto, con croce in gallone di filo bianca.
Il resto del corredo dei due reggimenti era uguale a quello dei reparti di fanteria, ma il colletto di cappotto e giubba aveva un alamaro, e la fascia del berretto era scarlatta, con granata (Granatieri) e cornetta (Cacciatori) dotate di cifre reali.
Per quanto attiene alle Guardie del Corpo, il coinvolgimento di alcuni elementi nei moti mazziniani della Savoia ne determinarono nel 1831 la contrazione. Carlo Alberto ridusse le compagnie a una, a piedi, riunendo gentiluomini e sottufficiali anziani e meritevoli che avevano tutti il rango di ufficiali, "destinati al servizio presso la Persona dei Principi, delle Principesse, della R. Famiglia". Indossavano uniforme assai simile a quella degli ufficiali dei Carabinieri Reali, con paramani e colletto rossi ornati di alamari a fiore, marsina a doppio petto, bandoliera da ufficiale in argento screziata d’azzurro e sciarpa azzurra in vita. Continuarono a ricevere alte paghe e privilegi, fino a che una serie di provvedimenti adottati fra il 1845 e il 1849 soppressero Dragoni Guardacaccia e Alabardieri di Sardegna, e contrassero ulteriormente Guardie del Corpo e Guardie di Palazzo nel 1852. Già Regie Patenti e Regolamento del 1822 avevano attribuito prerogative di scorta alla Famiglia Reale ai Carabinieri Reali, che nel 1836 ebbero altri compiti di sicurezza, seppure in coabitazione con le Guardie del Corpo. Nel 1848 la scorta operativa al Re Carlo Alberto fu disimpegnata dai 3 squadroni che caricarono a Pastrengo, questo fu senz’altro tenuto in considerazione, unitamente agli aspetti economici che rendevano le truppe di Casa Reale un lusso di cui si poteva fare a meno, per procedere all’ulteriore riduzione del 1862 e alla soppressione delle Guardie del Corpo il 1° settembre 1867. I Carabinieri Reali ottennero così la precedenza sugli altri reparti dell’Armata, mentre paramani e colletti rossi e alamari argentei rimasero disponibili per coloro che divennero i Carabinieri Guardie del Re, prima e del Presidente della Repubblica, poi.
E a ulteriore conferma dell’origine di quel colore scarlatto, degli Zaptiè eritrei e libici assegnati alla sicurezza dei Viceré di quelle colonie.
(A cura dell’Ufficio Storico dell’Arma dei Carabinieri).
LA CASERMA “MAGGIORE ALESSANDRO NEGRI DI SANFRONT”
La Casa dei Flavi sul Quirinale
Tra i due lati dell’Alta Semita era compreso il complesso archeologico che si estendeva lungo la strada che, provenendo dalla valle dei Fori Imperiali e correndo sul tracciato della moderna Via XX Settembre, attraversava tutto l’altopiano del Quirinale. Dalle fonti letterarie e dai rinvenimenti di strutture ed iscrizioni, sappiamo che la zona compresa tra le Piazze del Quirinale e di San Bernardo era occupata da numerose case signorili concepite a volte come vere e proprie ville. Era questo l’elemento che contribuiva principalmente ad attribuire alla zona l’aspetto di quartiere residenziale, aspetto che prenderà poi in gran parte la costruzione delle terme di Diocleziano nei primi anni del IV secolo d.C. Di alcune di queste grandi “domus” situate soprattutto sul lato destro della via, conosciamo i nomi dei proprietari, primo fra tutti Tito Pomponio Attico, amico, corrispondente ed editore di Cicerone, la cui ricca casa era contornata da bellissimi giardini. Le case e gli edifici che si trovavano sull’altro lato della strada, specialmente quelli posti lungo il margine del colle verso la valle Sallustiana, dovevano certamente presentare un aspetto particolare, in quanto caratterizzati da piante più articolate. Ciò era dovuto alla necessità di adattare in parte le costruzioni al dislivello del terreno, nonché alla presenza delle vecchie mura urbane del IV secolo a.C. che, in piena epoca imperiale, correvano ancora in parte integre lungo tutto il versante nord occidentale della collina. A questo tipo di edifici apparteneva anche la casa situata sotto la caserma dei Corazzieri, costruita secondo il sistema dei terrazzamenti, cioè con le varie parti adattate allo scoscendimento del terreno, secondo una moda iniziata nella prima età imperiale.
Tra le case di maggiore importanza che sorgevano su questa parte del colle, quelle dei Flavi, situata in una località detta del “Melograno” (“Ad Malum Punicum”) da un qualche rilievo presente su un edificio, nacque Domiziano nell’anno 51 d.C. Divenuto imperatore, Domiziano farà consacrare il luogo con la costruzione di un tempio che diverrà il sacrario della gente Flavia, ad imitazione di quanto aveva fatto Augusto con la sua casa natale sul Palatino. È assai probabile che la casa natale di Domiziano sia proprio l’edificio che stiamo esaminando, di cui era proprietario lo zio Flavio Sabino, fratello di Vespasiano, il cui nome compare in alcune iscrizioni (ad esempio un tubo di piombo) rinvenute in vari periodi nei pressi della caserma. Lucio Flavio Sabino, fratello maggiore di Vespasiano, Prefetto della città sotto Nerone e Othone, è da considerare, prima dell’avvento al trono da parte del fratello, il personaggio di maggior rilievo della famiglia dei Flavi. Sappiamo da Tacito che egli ebbe un ruolo determinante nelle operazioni che consentirono a Vespasiano stesso di salire sul trono imperiale, restando infine ucciso nel corso delle lotte tra i partigiani dei Flavi e quelli del deposto Vitellio, Imperatore succeduto a Nerone. L’Imperatore Vespasiano non tenne in particolare considerazione il figlio Domiziano relegandolo in un ruolo di secondo piano. Narra Svetonio che il futuro imperatore, a causa delle precarie condizioni economiche in cui questi versava, trascorse l’infanzia e la giovinezza in tale povertà che fu costretto a volte a prostituirsi. Ciò avvenne probabilmente a favore di Nerva, suo successore sul trono imperiale e certamente di Clodio Pollione, personaggio pretorio che amava mostrare una lettera scrittagli da Domiziano stesso e nella quale il giovinetto gli si offriva, naturalmente dietro compenso, per un’intera notte. Quando Domiziano morì, all'età di quarantacinque anni, nel quindicesimo anno di regno, l’unica che si prese cura delle sue spoglie fu la vecchia nutrice Fillide, che si incaricò di cremare il corpo dell’Imperatore nella sua villa sulla via Latina. Le ceneri furono poi portate nascostamente al tempio della gente Flavia, nella località detta il “Melograno” presso la casa del padre e deposte nell’urna di Giulia, figlia di Tito. In tal modo i resti mortali di Domiziano, ultimo imperatore della gente Flavia, tornavano nel luogo stesso dove egli era nato. Gli edifici scoperti sotto la caserma dei Corazzieri, consistono in una serie di strutture addossate o sovrapposte ad alcuni tratti murari in opera quadrata, pertinenti alle due fasi delle mura urbane a blocchi di tufo, costruite rispettivamente nel VI e nel IV secolo a.C.
La parte più elevata del complesso è costituita da una grossa fondazione in cementizio di ottima fattura a scaglie di selce, attribuibile all’età Flavia, nella quale si potrebbe riconoscere il podio del tempio fatto costruire da Domiziano. Una moneta dell’epoca rappresenta il tempio su un’alta costruzione, con una fronte composta da otto colonne (ottastilo), e decorato con una serie di rilievi che sono stati in parte ritrovati nelle vicinanze della caserma. Davanti al podio vi è un’altra parete, anche questa in cementizio ma di più rozza fattura, che forma l’altro lato di una sorta di corridoio di servizio coperto a volta. Alla base di questa seconda parete, che poggia su un resto delle mura più antiche in blocchi di cappellaccio, vi è un massiccio murario che attraversa tutto il corridoio, all’interno del quale corrono due condotti circolari dì coccio di diversa sezione, che dovevano far parte del sistema idraulico del complesso. A valle del podio del tempio vi era la casa, che doveva avere vari ambienti disposti lungo il crinale della collina e della quale gli scavi hanno riportato alla luce soltanto un grande ninfeo, anch'esso articolato su più livelli. La parte superiore della struttura è costituita da un ambiente in opera reticolata, che prospettava verso valle con una parete semicircolare che poggiava in parte sul tratto delle mura in blocchi di cappellaccio. L'interno dell’abside, scavata soltanto per metà della sua lunghezza e conservata per circa un metro di altezza, era decorato con un mosaico con elementi vegetali, certamente più antico della grande composizione della parete sottostante. Nella parte bassa dell’abside la decorazione termina con una fascia di colore rosso, limitata da una fila di conchiglie, sotto la quale vi è una porzione di muro attualmente priva di rivestimento e che doveva contenere uno zoccoletto di marmo. Al livello dello zoccolo vi sono nella parete due fori per il passaggio di tubi per l’acqua. Da queste aperture l'acqua doveva scorrere sul pavimento del vano e quindi colare sulla superficie del mosaico della zona sottostante, creando un effetto di grande suggestione. Tratto delle mura urbane a blocchi di tufo, sopra la porta d’ingresso del refettorio della Caserma Corridoio di servizio ricavato tra il podio del tempio e la casa dei Flavi Gli scavi effettuati sotto il pavimento del refettorio della caserma nell’ambito del secondo livello del ninfeo, hanno liberato circa metà del muro di facciata contenente il grande mosaico parietale e una parte della parete laterale destra dell'ambiente. Quest’ultimo lato era stato ricavato utilizzando un tratto delle mura a grandi blocchi di tufo del IV secolo, sul quale si vedono ancora tracce della decorazione a mosaico che continuava anche su questa parete. Sulla destra del ninfeo, oltre la parete laterale a blocchi, vi è un altro ambiente in reticolato, al quale si accedeva da una porta situata verso monte, e la cui forma irregolare è dovuta alla presenza della struttura in opera quadrata. Da quest’ultima stanza si accedeva ad un piccolo corridoio di servizio situato dietro il muro di facciata, costituito da uno stretto vano coperto con volta a botte. Sulla parete sinistra del corridoio vi sono due aperture a feritoia che vanno restringendosi verso l'esterno, terminando con due piccoli fori sulla superficie del mosaico, e dai quali (come nel settore superiore) doveva scorrere dell’acqua.
Il mosaico che decorava la parete principale del ninfeo è costituito da una grande composizione a paste vitree multicolori, visibile attualmente per circa metà della sua estensione, ma che continuava a sinistra oltre le fondazioni del refettorio ed in basso fino al livello del pavimento non ancora scavato. Il mosaico è limitato in alto da una cornice piatta, in risalto, contenente motivi di tipo geometrico e conclusa in basso da una fila dì conchiglie del tipo di quelle viste all’interno dell’abside superiore. La decorazione del grande quadro è costituita in gran parte da un’architettura fantastica articolata su tre livelli, corrispondenti alle ali sovrapposte di un porticato con colonne di tipo ionico, sulle quali corre una trabeazione a linea spezzata. Verso il centro della parete vi è una sorta di padiglione di forma circolare, coperto da una volta ad ombrello forata in alto e sorretta da elementi a forma di candelabri. Nella parte inferiore del padiglione vi è un pannello di color rosso, contenente una figura maschile nuda (forse un offerente) che regge un recipiente nella mano sinistra. Nella zona sottostante, davanti ad un tappeto decorato con motivi a foglie, vi è un piccolo pannello con due volatili posti ai lati di un vaso. In una posizione intermedia tra il secondo ed il terzo piano del porticato, vi è un ultimo quadro di forma semicircolare contenete una figura maschile nuda e distesa. Verso il centro della parete, la struttura architettonica termina con un arco spezzato sorretto da una colonna che ha il fusto disegnato ad imitazione del tronco di una palma, e da un lungo elemento in forma di candelabro che attraversa verticalmente l’intera rappresentazione. Sull’arco vi è la parte anteriore di un centauro, in atteggiamento rampante e con il corpo fortemente “lumeggiato” con tessere chiare, che regge una clava sulla spalla destra. Introdotti dalle linee convergenti della trabeazione costruita in funzione prospettica, appaiono al centro della parete i due quadri che costituiscono l'elemento tematico della composizione. Nel pannello superiore si vede una figura femminile seduta, alla quale si avvicina un personaggio maschile (caratterizzato da un incarnato più scuro) nudo e con un mantello (clamide) sulle spalle. Senza dubbio, riguardo alle due figure, si tratta di Io e del suo custode Argos. Io è raffigurata da una ragazza, mentre il custode Argos porta la lancia ed il mantello al posto della clava e della pelle di pantera. Questo cambiamento ha inizio alla fine del IV secolo a.C. e sembra si possa ricondurre a Nikias di Atene (riguardo al tempo ed allo spazio le più prossime analogie del mosaico nella caserma dei Corazzieri si trovano nell’affresco Pompeiano - la rappresentazione di Io e Argos in Macellum che appartiene al IV stile, sebbene cronologicamente è uno dei più recenti esempi che tipologicamente si avvicina di più all’interpretazione originale del motivo). Per confronto abbiamo tre variazioni dello stesso motivo di Io e Argos a nostra disposizione, la più antica proviene dalla casa di Livia sul Palatino (attorno al 30 a.C.). L’uomo ha la mano destra sollevata nell’atteggiamento tipico di chi si accinge a parlare, dando l’impressione di una relazione erotica (lui che corteggia lei). Al di sotto di questa scena, sotto un tratto di cornicione con mensole e lacunari, vi è un grande pannello sormontato da una composizione simmetrica a girali vegetali e delimitato da una cornice con motivi ad onde. All’interno di quest'ultimo quadro vediamo un personaggio maschile che indossa una clamide (forse lo stesso del pannello superiore), e che sembra afferrato e trattenuto da altre due figure seminude femminili. Per quanto riguarda l'interpretazione dei personaggi e delle scene contenute nei pannelli più grandi, è stata avanzata l'ipotesi che possa trattarsi di elementi desunti dal mito di Ila (Hylas), il giovane eroe la cui straordinaria bellezza fece invaghire Ercole che lo condusse con se nella spedizione degli Argonauti guidata da Giasone. Narra la leggenda che un giorno, durante una sosta della nave Argo, il giovane fu rapito dalle Ninfe di una fonte alla quale era andato per attingere acqua. Avvedutosi della scomparsa dell'amico, Ercole si mette alla sua ricerca separandosi definitivamente dai compagni di viaggio. Il mito di Ila ha fornito spunti per numerose rappresentazioni, sia per quanto riguarda le decorazioni parietali che per i rilievi. L’esemplare più significativo è forse rappresentato dalla scena composta con frammenti di marmo (opus sectile) che decorava una parete della basilica di Giunio Basso presso S. Maria Maggiore. Nel quadro si vede Ila vestito (come nel nostro caso) della sola clamide, nel momento in cui viene afferrato e trascinato via da due Ninfe. Dal punto di vista dell’inquadramento cronologico, possiamo osservare che il mosaico del ninfeo presenta un collegamento assai stretto con la contemporanea decorazione pittorica parietale riconducibile al cosiddetto “quarto stile” pompeiano. La vivace policromia, la ricerca della prospettiva, l'effetto scenografico delle architetture concepite in forme fantastiche, tutto contribuisce a dare l'idea di quella moda decorativa, già tanto duramente criticata da Vitruvio nelle sue pagine sulla pittura, e che vedrà il suo massimo sviluppo verso la fine del I secolo d.C. Al di là dei muro dì fondazione della parete dei refettorio, sulla sinistra del grande pannello che rappresenta il fulcro della composizione, il mosaico doveva continuare in modo simmetrico secondo uno schema che prevedeva la ripetizione speculare del partito decorativo finora esaminato. Trattasi di un reperto archeologico veramente unico.
Il Corpo scelto dei Carabinieri
Gli altissimi Carabinieri del Reggimento Corazzieri sono quelli che, forse più di ogni altro, incarnano la vocazione dell’Arma a essere “moderna per tradizione”. A vederli impegnati, con le loro uniformi in uso sin dal 1876, in occasioni solenni presso l’Altare della Patria, alla Festa della Repubblica o durante la visita di Capi di Stato esteri, effettivamente, può capitare di sentirsi proiettati indietro nel tempo. Ma sotto quegli elmi dalla lunga coda e quelle corazze argentee ci sono professionisti dalle più diverse attitudini: dai tiratori scelti agli artificieri antisabotaggio, dai paracadutisti agli esperti in arti marziali. Non tutti sanno, infatti, che questi Carabinieri dalla figura imponente e austera svolgono compiti che vanno ben al di là dei pur suggestivi servizi di scorta e d’onore, eseguiti a piedi o a cavallo. La loro principale responsabilità è proteggere fisicamente il Presidente e i suoi ospiti ufficiali, garantendo, al contempo, la sicurezza dell'intero complesso del Quirinale: di qui la necessità di un perfetto e costante addestramento secondo i più moderni ed elevati standard, adeguati alla delicatezza del compito loro affidato.
Non è facile diventare Corazziere. Per quanto concerne il reclutamento, vengono selezionati tra i militari dell’Arma dei Carabinieri. Oltre ai requisiti fisici (una costituzione armoniosa con almeno 190 cm di altezza anche se da 5 anni a questa parte, considerato l’incremento dell’altezza media generale, si tende a inserire nel Reparto militari di almeno 195 cm. Diversi corazzieri superano oggi i 2m) e a un’indiscussa moralità personale, bisogna avere eccellenti trascorsi disciplinari e di servizio. È indispensabile una grande abilità equestre e con le motociclette, per poter cavalcare perfettamente i cavalli di razza irlandese del Reparto, anche loro, come i cavalieri, di altezza considerevole (170 cm al garrese), e per poter condurre le imponenti Moto Guzzi “California”, molto usate nei servizi d’onore. Non è tutto. I lunghi turni di servizio svolti in piedi nella più assoluta immobilità richiedono una non comune resistenza fisica, ma soprattutto servono capacità, prontezza e reattività per garantire un’efficace e discreta protezione in tante circostanze rese delicate dalla notevole presenza di pubblico.
Libro: Dalle Guardie del Corpo allo Squadrone Carabinieri-Guardie del Re (1557-1914), di Giovanni Lang, Genova, 1914. Rara monografia su formazione, storia, impiego, armi, funzioni e caratteristiche dello squadrone Carabinieri-Guardie del Re, attualmente i corazzieri.
Libro: I Carabinieri Corazzieri. Guardie del Presidente della Repubblica, di AA.VV., Edizioni “il Carabiniere”,1973.
Caserma: La Caserma del Reggimento Corazzieri “Maggiore Alessandro Negri di Sanfront” è aperta al pubblico il sabato mattina (due visite: ore 9.00 – ore 10.00). La visita è gratuita. Occorre prenotarsi. È richiesta la prenotazione almeno 5 giorni prima della data della visita. La prenotazione è nominativa, non cedibile e si può effettuare con le seguenti modalità:
Call center, tel. 06 39.96.75.57 – da lunedì a domenica dalle 9.00 alle 17.00
Via XX Settembre, 12, 00187 Roma (RM).
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