Alice e Alberto Scagni, lei ammazzata, lui assassino: la storia e le vite non parallele di due fratelli - Corriere.it

2022-10-09 15:12:50 By : Ms. Sonia Fan

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La storia di Alice Scagni e del fratello Alberto, che l’ha uccisa: lei brava a scuola, realizzata sul lavoro, madre felice; lui trascinato sempre più a fondo dai suoi fantasmi: «Sono diventato come Van Gogh». I genitori: «Quando capirà ciò che ha fatto si ammazzerà. Lui è colpevole, certo, ma lo è anche lo Stato inefficiente»

Alice con il fratello Alberto nel giorno del suo matrimonio

Estate 1993, una foto sbiadita. Fratello e sorella sul gommone in mezzo al mare. Alberto ha 13 anni, Alice 5. Lui impugna i remi, sorride festante di essere il timoniere della sorellina. La protegge in mezzo all’acqua. Gli occhi vigili: prima sul mare, poi su di lei per assicurarsi che non si sporga. Rema piano, sferza la corrente, asseconda il ritmo delle onde. Le onde pacifiche di Varigotti, costa ligure di Ponente, dove i genitori hanno appena comprato una casa dopo una vita di sacrifici. «Eravamo felici» dice mamma Antonella guardando quella foto. Fa male quella foto, a rivederla oggi, 29 anni dopo. Fratello e sorella non ci sono più. Alberto ha ucciso Alice con 17 coltellate, lo scorso 1° maggio. Lei è morta, lascia un bambino di 2 anni. Lui è in carcere. E i genitori sono qui, dentro casa, quartiere Sampierdarena, Genova popolare. Distrutti. E arrabbiati. Hanno denunciato i carabinieri e i servizi di salute mentale. «Avrebbero potuto salvare nostra figlia». Una frase ricorrente: «Nostra figlia è stata uccisa dall’inefficienza dello Stato». E un reato ipotizzato: «Morte come conseguenza di omissione dolosa».

I GENITORI CHIAMARONO INUTILMENTE IL 112: NON VENNE NESSUNO. ALLE 20,45 ALBERTO ARRIVÒ A CASA DI ALICE. LEI SCESE A PORTARE FUORI IL CANE. LUI LA COLPÌ CON FEROCIA INAUDITA. IL CANE ABBAIÒ, IL FRATELLO OMICIDA SCAPPÒ, ALICE MORÌ

Alberto Scagni: lo scorso 1 maggio ha ucciso la sorella Alice con 17 coltellate

Alberto negli ultimi mesi era impazzito. Ossessivo, paranoico. Assediava sorella e genitori con telefonate aggressive. Chiedeva soldi, sfogava rabbia. A inizio marzo i genitori contattano gli specialisti di salute mentale, passano giorni (molti giorni) prima di un appuntamento. A quell’incontro Alberto non va, ci vanno i genitori con la sorella. Smarriti, sfiniti. Hanno paura che il comportamento del figlio possa degenerare. Sta diventando pericoloso. Vorrebbero un Tso, ma non si può. «Semmai chiamate i carabinieri», dicono i medici. È fine aprile, sono gli ultimi giorni. A fine aprile Alberto vandalizza i campanelli dei palazzi sotto casa. Il 29 aprile viene incendiato il portone della nonna. Il 30 aprile l’irruzione intimidatoria nell’appartamento dei genitori. Una collera torrenziale. E infine il 1° maggio. La mattina Alberto chiama il padre Graziano. Lo insulta, vuole soldi, minaccia: «Lo sai dove sono Alice e suo marito? Lo sai dove cazzo sono?». Il padre avverte il figlio: «Guarda che chiamiamo il 112». Lo chiamano davvero, più volte, ma inutilmente. «Signò, non famola tragica», rispondono gli agenti. E non arriva nessuna pattuglia. Alle 20.45, Alberto arriva a casa di Alice . Lei scende a portare fuori il cane. Lui la colpisce con ferocia inaudita. Il cane abbaia, Alberto scappa, Alice muore, 29 anni dopo quella foto nel mare di Varigotti. Allora lui la proteggeva, oggi la uccide.

Nel mezzo, la vita di una famiglia. Due fratelli felici al mare. Oppure in montagna, nella casa di Bardonecchia. Scatti di famiglia: una foto del 1995, lago d’Arpy, Valle d’Aosta. Alberto e Alice indossano un cappellino, sorridono e abbracciano il padre. L’amore tra fratelli, due vite parallele. Che poi divergono . Lentamente, inesorabilmente. Lei madre felice, presidente di una società di consulenza. Lui insoddisfatto cronico, senza famiglia, con lavori saltuari. Inappagato dalla vita, tormentato. Sempre più instabile. Crescono insieme, poi cambiano direzione. La nonna materna Ludovica: «Alice aveva un marito splendido, un lavoro da avvocata, un figlio bellissimo e si era comprata una casa meravigliosa. Aveva tutto e sapeva tutto, Alberto questo non riusciva a sopportarlo. Lui voleva sempre i soldi da lei, perché era diventato ossessivo». Per arrivare qui, c’è un percorso lungo vent’anni. C’è l’amore che diventa odio. E due genitori: Antonella e Graziano. Sono seduti al tavolo del soggiorno, Antonella stringe il polso di Graziano. Una casa modesta, un grande terrazzo che affaccia sui palazzi di Sampierdarena. Hanno due cani e due gatti: Cili e Rocky, Babu e Blackie. Graziano argomenta con voce flebile, il pallore nel viso, all’improvviso si porta le mani in faccia e dice «basta, basta». Ripercorrono gli anni con dolore. Cercano risposte dentro al vuoto, scavano nei ricordi. Che sono macigni.

I GENITORI: «ALBERTO EBBE UN ATTACCO EPILETTICO ALLA MATURITÀ. FU BOCCIATO, DA LÃŒ LE COMINCIÃ’ L’INSTABILITÀ, SEMPRE PIÙ GRAVE»

L’esame di maturità

Estate di 23 anni fa, liceo scientifico Enrico Fermi, esame di maturità, terza prova. Alberto è in classe, scrive sul foglio a protocollo. All’improvviso perde lo sguardo, si divincola, cade, ha un attacco epilettico, non può terminare gli esami. E viene bocciato, l’anno da ripetere. Un’umiliazione. Fu esonerato da educazione fisica, si sentiva escluso dai compagni. Eppure praticava karate, era cintura marrone. Ripete l’anno. E ritorna il giorno dell’esame. «È stato male tutta la notte, me lo ricordo come fosse adesso» racconta la madre. E il padre: «Ad ogni prova dell’esame siamo rimasti in auto accanto alla scuola per paura che potesse capitargli un altro attacco epilettico». Alberto si diploma, l’esame non va benissimo: 67 su 100. Si iscrive a Scienze politiche: «Portai personalmente la sua iscrizione in facoltà» ricorda il padre. Alberto prova a studiare, frequenta a intermittenza, non si appassiona. Si registra a un’agenzia interinale. Diventa barista all’occorrenza, pizzaiolo per necessità. Il lavoro non lo conquista, preferisce i libri. Ne comprava tanti, adorava Murakami, i testi sul Giappone, la filosofia orientale. Scriveva poesie, voleva diventare uno scrittore. Si rifugiava spesso nella casa di campagna, a Pozzol Groppo. Spaccava legna, dipingeva, amava Van Gogh. Il disincanto dal mondo, l’anima dissidente.

Alice Scagni, il giorno del matrimonio con il marito Gianluca (foto Pta Pix)

Aveva comprato gli acquerelli e una macchina fotografica. Restava ore in contemplazione delle stelle. Chiedeva al padre di fare come lui. «Perché non stai qui a vedere le stelle?» La vita, però, non era fatta solo di stelle. Bisognava lavorare. Il padre direttore amministrativo in una scuola, la madre dirigente quadro in banca. «Mi sono diplomata col massimo dei voti a ragioneria, a 21 anni ero già cassiera, ero nessuno e sono diventata quadro di secondo livello in Carige. Alberto mi rimproverava di non essere la mamma casalinga. Dal pediatra e dai professori ci andava mio marito. Uscivo la mattina alle 7 e tornavo la sera alle 20, ho dedicato moltissime energie al lavoro cercando di tenere in piedi lavoro e famiglia». Alberto trova lavoro come impiegato amministrativo. Tempo indeterminato, apprezzamenti dai dirigenti. «Lavorava per spaccarsi la schiena e arrivare la sera e crollare dal sonno. Non viveva per lavorare, lavorava per vivere, non aveva l’ambizione del successo» racconta papà Graziano. Nel frattempo Alice si diploma. A scuola lei è bravissima: diploma con 97 su 100. Poi Giurisprudenza, si laurea con 92. Entra in uno studio di commercialista, si fidanza col suo futuro marito, inizia la carriera. «Alice ha preso tutti i binari della vita» ripetono i genitori «Alberto invece no, non eravamo entusiasti, avremmo voluto che entrambi i figli trovassero una sistemazione secondo binari prestampati».

L’inizio della fine

Il treno di Alberto deraglia, a lui non piacciono i binari. Mentre è in ufficio, un nuovo, inaspettato attacco epilettico. Finisce in ospedale, quando esce si licenzia. «Per lui era diventato insostenibile produrre per gli altri». Spirito ribelle. Finisce anche la relazione con la storica fidanzata, Roberta. E lui crolla. I genitori si fanno in quattro per aiutarlo nel lavoro. La madre Antonella gli trova uno studio legale, lo assumono. «Vedere mio figlio andare in giacca e cravatta a lavorare era bellissimo» dice Graziano. Ma è un’illusione. Lui si sente stretto in quei vestiti. Dimentica scadenze, sbaglia contratti, viene licenziato, gli ritirano la patente per guida in stato di ebrezza. Alice invece diventa presidente del Cda dell’azienda. «Ci dette la notizia proprio qui, su questo divano, fu bellissimo» ricorda Antonella. Poi Alice si sposa. La scelta del vestito a Torino, è l’ultima gita della famiglia tutta insieme. «Quando Alberto la vide vestita da sposa, aveva gli occhi lucidi dalla commozione». E poi arriva il Covid, Alberto sprofonda. Andava in palestra, ma le palestre chiusero. Gira per strada senza mascherina. Non sopporta l’autorità, l’imposizione. Parcheggia l’auto sul marciapiede, fioccano le multe, il padre si arrabbia, però le paga. A marzo 2021 nasce Alessandro, il figlio di Alice. L’estrema gioia, per lei. Alberto però è indifferente, avaro di carezze per il nipotino. Diventa aggressivo, i suoi atteggiamenti si fanno preoccupanti. A settembre liquida il fondo pensione di 15mila euro donato dai genitori. Scoppiano i litigi.

Antonella Zarri e Graziano Scagni, i genitori di Alice Scagni, uccisa a coltellate dal fratello Alberto il 1° maggio 2022 (foto F.Anselmi/Contrasto)

«Almeno usali bene». E invece no, spende tutto in tre mesi: alcol, donne, forse droga. Ancora soldi: arriva anche il reddito di cittadinanza. Poi però non arriva più, Alberto si perde nei gangli della burocrazia. E si arrabbia, lo sguardo monolitico. Non è più lucido. Incolpa i genitori. A Natale, per la prima volta in vita sua, non partecipa al pranzo familiare in campagna. «Alice aveva suo figlio neonato di 7 mesi tra le braccia ma era triste perché vedeva suo fratello soffrire, non mangiò quasi niente». Alberto delira. Chiede ai genitori 120mila euro, li implora, li spaventa. Diventa irascibile, inavvicinabile. Teme di essere escluso dall’eredità, crede di essere spiato. Fa bonificare il suo appartamento convinto che qualcuno lo possa spiare. La famiglia vuole mandarlo dallo psicologo, lui non vuole. Partono le richieste di aiuto ai servizi di salute mentale, i tempi si allungano, passano i giorni. Il neurologo dice che Alberto è grave. «Ci disse che era diventato come Van Gogh» dicono i genitori. Il riferimento al pittore olandese arriva in qualche modo ad Alberto, che il 28 aprile, sulla sua pagina Facebook, pubblica un post: «Fossi Van Gogh, negli ultimi cinque anni avrei dipinto questo» e incolla un’immagine di cromosomi. Il giorno prima aveva postato una foto scattata al killer di Marta Russo, la studentessa di 22 anni uccisa venticinque anni fa da un colpo di pistola alla Sapienza di Roma. E il giorno prima ancora, il 26 aprile, il post con la sua busta paga da impiegato del marzo 2010. E un commento: «Bei ricordi».

Il marito di Alice ha paura, compra un estintore per difendersi, propone alla moglie di trasferirsi in una casa di campagna. Lei dice no: «Alberto non mi farà mai del male, lui mi vuole bene». Però Alberto insulta tutti. Si rivolge al padre così: «Sei un coglione, mongoloide, deficiente, pedofilo». Ormai non si vedono più, parlano solo per mail. O per telefono, come quell’ultima volta col padre. «Fra 5 minuti io controllo il conto, se non c’ho i soldi stasera il marito di Alice e tua figlia sai dove cazzo sono, lo sai dove cazzo sono?». Si susseguono frenetici i messaggi di famiglia. Alice scrive alla madre: «Alberto non è più in grado di ragionare. Ma non possiamo andare via tutti?! Cioè non si può vivere così!». I genitori chiamano i carabinieri, sedici minuti al telefono per implorare un intervento e proteggersi dal figlio. «Abbiamo creduto che chiamare il 112 servisse a qualcosa. Abbiamo sbagliato, ne sono convinta» dice Antonella. «C’erano tutte le avvisaglie ma nessuno ha voluto ascoltare».

La polizia sul luogo del delitto a Genova, 1 maggio 2022. Alice, avvocata, aveva 34 anni ed era madre di un bambino di 2

E Alberto esplode, la furia sul corpo della sorella, sotto casa di lei. «Ha ucciso lei per punire noi» dice papà Graziano. Mamma Antonella accarezza il cagnolino Cili: «Non possiamo prendercela con Dio perché ci ha dato tanta felicità». Lo ripete: «Eravamo una famiglia felice». Una famiglia normale. Poi qualcosa si è rotto. Alberto è uscito dai binari, è scappato dalla vita: «Ma noi l’abbiamo amato tantissimo. Anche Alice lo amava, e lui amava Alice, quando si renderà conto di quello che ha fatto si ucciderà». Vogliono andare a trovarlo nel carcere di Marassi. «È pur sempre nostro figlio». E chiedono giustizia. Balena rabbia negli occhi di Antonella: «Mio figlio impugnava l’arma, è colpevole, ma poteva essere fermato. Anche lo Stato è colpevole». Adesso resta il piccolo Alessandro, 2 anni. Nei giorni scorsi, guardando la foto di Alice, ha sussurrato “mamma”. Non potrà riaverla indietro. Crescerà col padre Gianluca, rimasto vedovo. E con i nonni paterni, e quelli materni. Adesso sono nonni. «Preferivo essere madre» dice Antonella. Adesso è madre solo di Alberto. Vedrà Alice negli occhi di Alessandro, imparerà a cercarlo, imparerà ad amarlo, come un faro nel buio, sorgente di vita che non muore.

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